ROMA – Export di ortofrutta in ripresa nei primi nove mesi dell’anno, ma con saldi finali condizionati dall’inflazione. Nonostante i contraccolpi economici della guerra, della crisi energetica e del rallentamento del commercio internazionale le imprese italiane dell’ortofrutta recuperano nel terzo trimestre 2022 a valore su analogo periodo 2021.
L’export sfiora i 3,8 miliardi € (+0,3%, valore analogo a quello del 2021 con quantità ridotte di oltre 70.000 tonnellate. Si ferma a circa 3,5 miliardi € la crescita dell’import che a giugno segnava +21% in valore e a settembre +16,8%, anche se le quantità importate (circa 2,8 milioni tons) superano quelle esportate (2,6 milioni tons). Migliora anche il saldo commerciale positivo nei primi 9 mesi, che si avvicina ai 300 milioni € (-62,7% sul 2021) in recupero sul dato del primo semestre (-81,9%). A fine anno si punta ai 5 miliardi € di export, ma con una forte perdita di valore generata dall’inflazione galoppante.
Sul fronte export bene la frutta fresca (+5,7% in valore, pari a quasi 2 miliardi €), e legumi-ortaggi (+3%). In crisi la frutta secca (-28%) che sconta un calo generalizzato dei consumi che continua anche in queste settimane. Sul fronte import in forte aumento legumi-ortaggi (+37%, quasi 923 milioni € di valore), si ridimensiona l’import di agrumi – che da luglio sconta un inasprimento delle condizioni fitosanitarie per l’import – comunque sempre positivo (+17,8%). Meno vivace l’import di frutta fresca e secca rispetto allo scorso trimestre, anche se i numeri restano positivi (+3,9% e +14,4%). Sempre vivace il trend dell’import di frutta tropicale, unico prodotto che ha un valore al passo con l’inflazione.
Nel merito dei singoli prodotti sempre prime le mele, seguite dall’uva da tavola, dai kiwi e da pesche/nettarine unico prodotto in forte recupero di valore rispetto al 2021 (+42,7%) con un export raddoppiato in volume rispetto al 2020 e +60% in valore. Tra i campioni di import banane, ananas e avocado nell’ordine, tutti con valori positivi (+12%, +18% e +15%).
Commentando i dati, Marco Salvi, presidente Fruitimprese , vede il bicchiere mezzo pieno. “Visto il periodo particolarmente complesso con tante criticità che pesano sui bilanci delle imprese, dai costi energetici triplicati, agli imballaggi, ai materiali di consumo, ai trasporti
su gomma e per mare, già riuscire a tenere i livelli vicini a quelli del 2021 è un piccolo miracolo. Si conferma la resilienza del mondo dell’ortofrutta e delle sue imprese, che sanno reagire alle difficoltà puntando su innovazione e ricerca e triplicando gli sforzi su tutti i mercati di riferimento”.
“I dati dei primi 9 mesi indicano un recupero dell’export a valore e una contrazione a volumi. Mentre l’import cresce significativamente a valore (+16,8%, quasi 3,5 miliardi €) e anche a volume (+6,8%). Bisogna aspettare i dati dell’ultimo trimestre per avere un quadro completo, alcuni prodotti di importazione potrebbero rallentare il loro trend di crescita, mentre alcuni prodotti di punta del nostro export come mele e kiwi potrebbero crescere. A fine anno probabilmente il nostro export fatturerà 5 miliardi € o poco più, più o meno in linea col 2021, al lordo però dell’inflazione galoppante; il saldo commerciale molto difficilmente tornerà sui livelli del 2021 (oltre 1 miliardo €)”.
“Anche se sta rallentando, il trend dell’import a volume resta superiore all’export: segno che sul mercato italiano si stanno consolidando consumi di prodotti di importazione in alternativa ai nostri, sia per motivi di completamento di gamma in contro-stagione, sia a causa dei prezzi più bassi. Va ricordato infatti che abbiamo un costo del lavoro più alto dei nostri competitor cui si aggiunge una crescente difficoltà a reperire manodopera sia per le operazioni di raccolta in campagna sia nei nostri magazzini di lavorazione. La conseguenza è che calano le rese produttive mentre i costi di raccolta e confezionamento aumentano”.
Conclude Salvi: “Guardando i numeri in assoluto, possono sembrare positivi. Il problema è legato alle prospettive di un 2023 difficilissimo sotto tutti i punti di vista. I prezzi dei prodotti al consumo già sono aumentati; i consumi stanno calando. Le imprese stanno facendo la loro parte, hanno sacrificato parte dei loro margini per non scaricare sui prezzi gli aumenti esorbitanti dei costi produttivi. Ma ormai sono allo stremo”.
“Oggi la situazione è davvero divenuta insostenibile. Da un lato le imprese vanno sostenute maggiormente sul fronte dei costi di energia, materie prime e trasporti. Dall’altro la GDO italiana ed estera deve sedersi ad un tavolo con noi e riconoscere quegli aumenti di prezzo senza i quali tantissime imprese saranno costrette a chiudere o a ridimensionare la produzione con cadute pesantissime in termini di posti di lavoro nel settore ortofrutticolo e nel suo importante indotto”.