VERONA – La capacità di aggregazione delle imprese agricole come elemento cardine per favorire la condivisione dei dati e l’utilizzo delle tecnologie, il ruolo del genome editing per ottenere varietà resistenti ai patogeni e agli stress climatici, la spinta del contoterzismo come driver degli investimenti, l’agricoltura italiana ad alto valore aggiunto proiettata a mantenere la qualità e migliorare l’efficienza nel 2040, fra minori costi, minore impatto ambientale e sempre maggiore affinamento delle tecniche produttive.
È la visione dell’agricoltura italiana che guarda ad un futuro sostenibile quella che presenta a Fieragricola TECH Stefano Vaccari, direttore generale del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.
Fieragricola TECH, evento fieristico con 60 espositori e oltre 50 eventi tra convegni e workshop aziendali e focus specifici su digitalizzazione e agricoltura 4.0, smart irrigation, energie rinnovabili, biostimolanti, lo ha intervistato.
Direttore Vaccari, grazie all’osservatorio privilegiato del Crea è possibile individuare quali sono le tecnologie sulle quali il mondo agricolo investe maggiormente?
«Osservando i dati degli acquisti di macchine e attrezzature operati con gli strumenti di incentivazione governativi (industria 4.0, fondo PMI e altre fonti) vediamo come trattori e macchine operatrici con sempre maggiore digitalizzazione delle funzioni sono ancora gli investimenti preferiti dagli operatori della filiera, soprattutto dai contoterzisti, forse la categoria che maggiormente investe nelle nuove tecnologie.
Sulle operazioni di raccolta negli ultimi 10 anni sono stati fatti progressi notevoli e la nostra industria agromeccanica, la terza al mondo per dimensioni, è straordinaria nell’offrire soluzioni specifiche per ogni prodotto o ambiente. Sensoristica e DSS (Decision Support System, vale a dire sistemi di supporto alle decisioni, stanno cominciando a prendere piede nelle aziende più grandi. Sempre più diffuse sono le soluzioni di automazione di funzioni aziendali quali l’alimentazione del bestiame, l’impiego di acqua in azienda, la gestione di alert fitosanitari o climatici. Insomma, il grado di tecnologia delle imprese agricole professionali italiane sta crescendo e i risultati economici lo dimostrano.
Un salto tecnologico importante sarà la disponibilità di nuove varietà resistenti a patogeni e stress climatici che le nuove tecniche di evoluzione assistita, il cosiddetto genome editing, potranno sviluppare nei prossimi anni. Il Crea in questo sta investendo fortemente e speriamo che la legislazione italiana cambi rapidamente per consentire la sperimentazione in campo delle nuove varietà. Avere grande tecnologia in campo e poi non avere varietà altrettanto performanti è un po’ come avere una Ferrari per correre su una strada di campagna».
Quali sono i principali ostacoli da superare nel percorso di digitalizzazione e di innovazione in agricoltura?
«Direi la capacità di aggregazione delle imprese agricole. Le migliori tecnologie danno il meglio se applicate su territori dalle dimensioni significative. La sensoristica applicata a 10 ettari non dà le stesse performance della sensoristica applicata su 10.000 ettari. La gestione di grandi volumi di informazioni, possibile solo con applicazioni su scale significative, è decisiva per far evolvere al meglio gli strumenti predittivi e dell’agricoltura di precisione. Consorzi di produttori, cooperative e organizzazioni professionali possono veramente fare la differenza nello sviluppo diffuso delle nuove tecnologie.
Più che un discorso di costi – la sensoristica e la modellistica sono sempre più a buon mercato – è un discorso di organizzazione produttiva. In Italia abbiamo esempi virtuosi, nel settore delle mele, di numerose denominazioni di origine, nell’ortofrutta, di aggregazioni consortili che consentono a migliaia di aziende di beneficiare di informazioni e tecnologie per la difesa elle colture e il migliore impiego di mezzi tecnici. Occorre spingere in questa direzione per diffondere anche tra le piccole aziende le migliori tecnologie, con costi sostenibili».
In Francia gli studiosi hanno cominciato a interrogarsi sul futuro dell’agricoltura nel 2040, fra incertezza dei mercati globali, ruolo delle commodity, desertificazione del suolo, rapporto fra città e campagna a fronte di una progressiva urbanizzazione. La realtà italiana, per alcuni aspetti, è molto diversa da quella francese, per altri è abbastanza simile. Come sarà l’agricoltura del nostro Paese nel 2040? Avremo solo realtà iper-specializzate, una robotizzazione diffusa, produzioni ad elevato valore aggiunto, o sarà ancora un panorama frastagliato? Come potrebbe cambiare il sistema agricolo e alimentare fra poco più di 15 anni?
«Non va dimenticato che l’agricoltura italiana produce valore, prima ancora che cibo. Come il Crea ha recentemente illustrato nell’Annuario dell’agricoltura italiana, siamo i secondi in Europa per valore aggiunto nonostante abbiamo la metà della terra francese o spagnola. Questa riflessione è importante per capire cosa produrremo tra 15 anni. E la risposta è semplice: continueremo a produrre eccellenze. Prosecco, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Aceto Balsamico di Modena e Mozzarella di Bufala Campana, per citare le più importanti denominazioni protette italiane, il cui fatturato ormai supera i 20 miliardi di euro, continueranno ad essere prodotti di punta della nostra agricoltura. Quello che cambierà sarà il sempre maggiore affinamento delle tecniche produttive, in modo da coniugare tradizione con minori costi e minore impatto ambientale. E qui la ricerca può veramente fare la differenza e consentire al nostro sistema agroalimentare di continuare ad essere vincente sui mercati mondiali anche nel 2040».
Intervista a cura dell’ufficio stampa di Fieragricola Tech