ROMA – “L’immigrazione va governata incentivando percorsi legali e di qualificazione professionale, su questo siamo pienamente d’accordo con il Ministro Lollobrigida, però facciamo notare che sul territorio nazionale già vivono e lavorano in agricoltura tanti immigrati inseriti nei circuiti del lavoro nero o addirittura del caporalato.
Oltre 200 mila irregolari, di cui circa 10 mila residenti in baraccopoli, che sono parte di un’economia sommersa, il più delle volte arruolati in funzioni servili perché privi di permessi di soggiorno e dunque di identità e diritti. Accelerare la loro regolarizzazione, dando modo di emergere dall’invisibilità, sarebbe una misura di buon senso per colpire il sistema dello sfruttamento e della concorrenza sleale. Bisogna passare dagli annunci ad azioni concrete”.
Così il Segretario generale della Fai-Cisl Onofrio Rota commenta le affermazioni rilasciate dal Ministro Lollobrigida al quotidiano La Stampa circa i 300-500 posti di lavoro disponibili in agricoltura.
“Servono politiche più adeguate di programmazione per rendere strutturale il contributo dell’immigrazione, a partire dallo snellimento burocratico rispetto ai permessi di soggiorno, se vogliamo colmare la mancanza di manodopera denunciata dalle imprese e contrastare sfruttamento e lavoro nero”, afferma il sindacalista.
“Ad oggi – aggiunge Rota – i lavoratori stranieri producono il 9% del Pil italiano, quelli impiegati in agricoltura sono oltre 358 mila, con un aumento delle giornate di lavoro nel 2022 a più di 122 milioni. Sulla totalità delle giornate quelle relative agli stranieri sono oltre il 30%.
Un dato in crescita costante che dimostra il ruolo determinante dell’immigrazione nel comparto primario, legato anche al mancato ricambio generazionale rispetto ai lavoratori italiani: sempre più giovani italiani infatti si avvicinano all’agricoltura con obiettivi imprenditoriali, molto meno nell’ambito del lavoro dipendente. A maggior ragione bisogna partire adesso con misure concrete per incentivare la formazione e il lavoro di qualità, l’inclusione sociale e culturale, la sicurezza e salute nei luoghi di lavoro: al centro di questi percorsi – propone in conclusione il leader della Fai-Cisl – vanno posti gli enti bilaterali territoriali, punti di riferimento essenziali anche per migliorare l’incrocio tra domanda e offerta di manodopera”.