RAVENNA – Sta prendendo sempre più forma il progetto legato alla certificazione ambientale di prodotto avviato da AIFE/Filiera Italiana Foraggi l’Associazione con sede a Ravenna che con i 30 impianti associati distribuiti in diverse regioni del Paese registra una produzione annua vicina a 1 milione di tonnellate, quasi il 90% della filiera dei foraggi essiccati e disidratati a livello nazionale, il 60% del quale è destinato all’esportazione.
Infatti, dopo la pubblicazione in forma definitiva della regola di prodotto presentata alcuni mesi fa da AIFE/Filiera Italiana Foraggi al ministero dell’Ambiente e della Transizione ecologica, alla fine dello scorso mese di settembre è partita la fase operativa che attraverso il calcolo delle emissioni e degli impatti che ne derivano, il cosiddetto carbon foot print, porterà alla stesura del documento di certificazione di prodotto.
“Dopo aver selezionato un campione di 5 aziende associate ad AIFE/Filiera Italiana Foraggi che rappresentano i differenti processi produttivi di tutte le aziende nostre aderenti – spiega il presidente Gian Luca Bagnara – abbiamo avviato la fase operativa di questo importante progetto in collaborazione con Turtle srl, spin-off del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Bologna, che si occuperà della mappatura del processo produttivo attraverso la raccolta dei dati, la loro elaborazione e lo sviluppo di un modello LCA (Valutazione del Ciclo di Vita, ndr). Questa attività terminerà a gennaio 2024 dopodiché, nei successivi mesi di febbraio e marzo, è prevista la pubblicazione dello studio LCA e la verifica da parte di un ente terzo indipendente che porterà alla stesura della certificazione di prodotto. Il calcolo delle emissioni e dei relativi impatti ambientali derivanti dal processo produttivo dell’erba medica ci permetterà di stabilire gli assorbimenti nel suolo dei due principali gas serra, il carbonio e l’azoto, determinando il beneficio prodotto in termini di fertilità del terreno. Non solo – prosegue Bagnara – nella certificazione di prodotto, una sorta di passaporto ambientale che verrà rilasciato alle aziende nostre associate che lungo il percorso produttivo avranno dimostrato di aver rispettato tutti i requisiti richiesti, saranno riportati i crediti di carbonio che potranno essere trasferiti sulle successive colture cerealicole post-medica e alla biodiversità del terreno”.
La certificazione ambientale di prodotto di AIFE/Filiera Italiana Foraggi si inserisce a pieno titolo nel dibattito sulla sostenibilità ambientale, quindi impatto delle emissioni e conseguente sequestro di carbonio, e rappresenta un plus che risponde alle richieste di un consumatore sempre più attento, consapevole e sensibile non solo alla qualità e alla salubrità dei prodotti che porta sulla sua tavola, ma anche al rispetto dell’ambiente.
“Mi piace ricordare una recente dichiarazione di Jacqueline McGlade – riflette Gian Luca Bagnara – ex direttrice dell’Agenzia ambientale europea e co-fondatrice dell’azienda inglese Downforce Technologies, specializzata nella raccolta e nella commercializzazione di dati sul terreno. McGlade sostiene infatti che l’applicazione di una serie di semplici strategie permetterebbe di incrementare dell’1% l’ammontare di carbonio sequestrato nei primi 30 centimetri dei suoli agricoli. Un aumento che pur sembrando marginale, in valore assoluto è a dir poco impressionante e arriva a 31 miliardi di tonnellate. Si tratta infatti di un quantitativo che corrisponde alla differenza tra il taglio complessivo delle emissioni pianificato a livello globale da qui al 2030 e la quota massima ritenuta necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C nel confronto con l’era pre-industriale: il gap valutato dalle Nazioni Unite parla di 32 miliardi di tonnellate di carbonio. Ecco – conclude Gian Luca Bagnara – davanti a questi numeri e a queste interessanti valutazioni è evidente che ogni segmento produttivo agricolo non può girarsi dall’altra parte. AIFE/Filiera Italiana Foraggi non lo farà, al contrario cercherà di fare al massimo delle sue potenzialità il meglio possibile: il suolo agricolo rappresenta il vero serbatoio naturale di accumulo di carbonio”.