ROMA – Il passaggio dello status del lupo da “strettamente protetto” a “protetto” va nella giusta direzione sia a salvaguardia della specie che a tutale delle aziende zootecniche, soprattutto nelle aree interne e rurali del Paese. Il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, commenta così la proposta della Commissione Ue che dà seguito a un lavoro importante, in tal senso, portato avanti anche dalla Confederazione.
Considerato il notevole miglioramento dello stato di conservazione, il lupo non ha più bisogno di una tutela rigorosa e quanto presentato, stamane a Bruxelles, emerge come il necessario percorso di adeguamento nell’ambito della Convenzione internazionale di Berna sulla fauna selvatica e gli habitat naturali europei. Inoltre, mostra di riconoscere l’analisi approfondita sulla presenza del lupo nei Paesi membri, condotta con attenzione anche da Cia per il contesto nazionale.
“La costruzione di un nuovo equilibrio uomo-natura è sempre più cruciale se consideriamo il ruolo strategico per la tenuta e lo sviluppo delle aree interne, rappresentato dalla nostra zootecnia e delle comunità rurali. Spetta ora agli Stati membri -dichiara Fini- decidere in merito alla proposta Ue e insieme al Governo costruire un percorso virtuoso sia nel rispetto dell’ambiente che degli animali selvatici, nei confronti degli allevatori e degli agricoltori, veri custodi del territorio”.
Inoltre, conclude Fini: “Occorre perseguire l’uso efficace delle deroghe fornite dalle direttive per prevenire seri danni al bestiame, alle colture, alla pesca, alle foreste e nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica e per altre ragioni imperative di importante interesse pubblico, sia di natura sociale che economica”.
I DATI SUL LUPO IN ITALIA – Negli ultimi decenni la specie si è espansa naturalmente in gran parte d’Italia dove, complessivamente, si stima la presenza di circa 3600 capi. Ovunque la popolazione è cresciuta. In particolare, sulle Alpi si è registrato l’aumento più significativo e nelle aree interne del Paese si sono riscontrati i maggiori danni al bestiame, ma non solo. Continui attacchi ai greggi preoccupano notevolmente gli allevatori per l’incontenibile peso che l’azione predatoria genera sulle ormai minime risorse economiche di un’attività che resta l’elemento presidiale e indispensabile all’economia di territori marginali.