BOLOGNA – La carne rossa può essere sostenibile a livello salutistico, economico, ambientale ed etico? La risposta è sì per l’Accademia Nazionale di Agricoltura.
Il suo consumo equilibrato permette di portare benefici alla salute e l’impatto ambientale degli allevamenti bovini italiani è virtuoso e contribuisce anche all’incremento delle fonti energetiche rinnovabili. E’ necessario informare correttamente i consumatori e contrastare le fake news su temi di così grande interesse per la società.
Si è svolto a Palazzo della Valle, sede di Confagricoltura a Roma, il convegno “Carni rosse: economia, salute e società. Una riflessione”, organizzato dall’Accademia Nazionale di Agricoltura.
L’incontro è stata l’occasione per fornire uno sguardo approfondito sull’intera filiera della produzione di carne rossa in Italia, partendo dal comparto zootecnico fino ad arrivare alle qualità nutrizionali del prodotto e al suo impatto ambientale, con l’intenzione di fornire corrette informazioni sul rapporto carne rossa-salute-ambiente. Oggi, infatti, la produzione di carne, in particolare quella bovina, è messa in discussione da numerose e incontrollate fake news e per l’Accademia Nazionale di Agricoltura sfatare la disinformazione in tali campi è doveroso per informare adeguatamente i consumatori, orientandoli verso stili di vita equilibrati ed abitudini alimentari sane, senza cadere in immotivate paure. In quest’ottica un prodotto come la carne rossa, storicamente indispensabile per una corretta ed equilibrata alimentazione, deve essere presentato con un corredo di informazioni che, da una parte mettano in evidenza i rischi connessi ad un consumo inappropriato, ma dall’altra, valorizzino adeguatamente le proprietà positive di questo alimento.
La missione dell’Accademia Nazionale di Agricoltura è quella di essere in prima fila nella divulgazione di una corretta comunicazione in campo scientifico negli ambiti agroalimentari, ambientali, salutistici e con l’organizzazione del convegno “Carni rosse: economia, salute e società. Una riflessione”, ha cercato di sfatare numerosi miti legati al consumo di carne rossa, tra i quali il possibile rischio di patologie per l’uomo e l’inquinamento dato dagli allevamenti bovini. A livello scientifico nessuna patologia è associata unicamente al consumo di carne rossa e l’aumento del rischio di comparsa di patologie riferibili alla carne rossa dipende, sia dalla quantità e frequenza del suo consumo, che da variabili indipendenti riferibili al singolo consumatore.
I dati disponibili, nel loro complesso, suggeriscono in realtà che il consumo di carne rossa, se mantenuto entro i limiti di una corretta alimentazione seguendo i suggerimenti delle attuali linee guida nazionali italiane, non si associa ad alcun significativo rischio di patologia e possa invece contribuire favorevolmente all’apporto di alcuni componenti rilevanti del pattern alimentare complessivo. Lo stesso dicasi a livello ambientale dove il comparto zootecnico, in particolare quello bovino, è considerato il maggiore a impatto climalterante e azotato nell’ambito delle filiere agro-alimentari ma, per quanto riguarda l’Italia (dati ISPRA), le emissioni riferite a tutta la zootecnia sono al 5,9%, di cui solo il 3,5% è rappresentato dalle carni (esclusi latte e uova), contro il 14,5% su scala mondiale (dati FAO). In Italia, allo stesso modo, si utilizza per la produzione di carne il 25% d’acqua in meno rispetto alla media mondiale, con un notevole impatto positivo per l’ambiente. A livello complessivo, dunque, l’intero settore delle carni italiano (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che sono restituite all’ambiente come l’acqua piovana, mentre solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene effettivamente consumata. Infine, una dimensione non trascurabile dell’impatto economico e ambientale di queste filiere è quello del contributo che esse forniscono, sia pure indirettamente, alla fertilizzazione azotata dei campi oltre che al recupero dei residui carboniosi dei reflui sotto forma di fonti di energetiche rinnovabili (biogas e biometano).
Il convegno ha visto la partecipazione di numerosi esperti del settore, professori universitari delle università di Bologna, Cattolica del Sacro Cuore, Sassari e Bari, rappresentanti della Società Italiana di Nutraceutica e della Nutrition Foundation of Italy. Di seguito una sintesi di quanto riportato dai relatori durante il convegno.
La zootecnia non incide sul riscaldamento globale e si avvicina al net zero
“Gli impatti della carne bovina sono in linea con quelli degli altri prodotti animali e vegetale; oltre il 90% degli alimenti inseriti nel ciclo produttivo – ha esordito il Prof. Giuseppe Pulina Ordinario di Zootecnia Speciale Università di Sassari – del bovino da carne non sono utilizzabili dall’uomo per cui la filiera mostra una efficienza da 0,6 a 1,0 nella valorizzazione delle sostanze azotate vegetali in proteine nobili animali; i 2/3 dei terreni agricoli sono dedicati al pascolamento in quanto non utilizzabili per colture arative. Esistono ampi margini per ridurre le emissioni degli allevamenti e aumentare i sequestri di carbonio delle superfici a pascolo, che secondo i dati FAO ammonterebbero da 1,7 a 3,4 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, e per portare i sistemi produttivi della carne bovina verso il traguardo net zero fissato dagli accordi COP26 di Glasgow. L’emergere di nuove metriche per la corretta valutazione del potere termizzante dei gas climalteranti, a lunga e breve emivita in atmosfera, comporta una completa revisione degli impatti ad oggi stimati con l’impiego di valori in CO2 che non tengono conto della differenza fra stock, da impiegare per i primi, e flusso da utilizzare per i secondi. L’applicazione dei modelli GWP (Global Warming Potential) che esprime il valore termizzante in CO2 alle filiere dei bovini da carne dimostra che, se le emissioni di questo gas restano costanti o si riducono, esse non incidono sul riscaldamento globale, nel primo caso, oppure contribuiscono al raffreddamento dell’atmosfera, nel secondo”.
La fame di carne: una nozione ancestrale per l’uomo
Da tempo gli antropologi culturali si sono accorti che in numerose società si provvede a distinguere terminologicamente una generica nozione di “fame” e una più specifica nozione di “fame di carne”: per esempio, tra i BaNande del Nord Kivu (Repubblica Democratica del Congo) enzala è la fame e persino la carestia, mentre ameru è propriamente il desiderio di mangiare carne. Perché mai questa attenzione concettuale verso la fame di carne? Forse sarà bene ricordare, ha continuato il Prof. Francesco Remotti Emerito di Antropologia Culturale Università di Torino – che il destino di Homo sapiens fu segnato innanzi tutto dal passaggio dalla condizione di preda a quella di predatore e, nel contempo, sottolineare le difficoltà (tecniche e ambientali) che le società di cacciatori-raccoglitori spesso incontrano nel procurarsi il cibo più pregiato, ossia la carne animale. La carne è un cibo pregiato: proprio per questo osserviamo quasi ovunque la messa in atto di regole riguardanti la selezione delle specie da cacciare e ritualmente da incrementare (totemismo), nonché la regola forse più importante e diffusa, quella della spartizione della carne sulla base del principio della reciprocità. Persino quando le società umane adottano le tecniche dell’allevamento, sottopongono l’accesso alle risorse alimentari animali a limiti e regole rituali (nozione di sacrificio).
Fonte preziosa di vitamina B12 e di peptidi con azione anti ipertensiva e anti infiammatoria
“La carne rossa, a lungo demonizzata come nociva per la salute dell’uomo, è in realtà un alimento che, consumato con moderazione nell’ambito della Dieta Mediterranea, apporta all’alimentazione umana proteine di alto valore biologico, e micronutrienti importanti per la salute quali il ferro, per il 40% nella forma maggiormente biodisponibile per l’organismo, e la Vitamina B12, di cui può arrivare a coprire sino al 100% del fabbisogno giornaliero. Apporta – ha proseguito la Prof. Silvana Hrelia Ordinaria di Biochimica Università di Bologna – significative quantità di aminoacidi ramificati, fondamentali per la crescita e il mantenimento della massa muscolare, al punto che 100 g di carne bovina ricoprono oltre il 50% del fabbisogno giornaliero. È una preziosa fonte di molecole bioattive quali carnitina, carnosina, Coenzima Q, acido lipoico e creatina, che svolgono importanti funzioni regolatorie nel metabolismo, nonché di peptidi bioattivi, liberati durante la digestione gastrica, con azioni multifunzionali tra cui quella anti-ipertensiva e anti-infiammatoria”.
Alimento fondamentale in tutte le fasi della vita umana
“Il consumo di carne, per il suo valore nutrizionale e per il ruolo che svolge nel supportare la crescita, lo sviluppo e la salute umana è di primaria importanza in tutte le fasi della vita. Nell’infanzia – ha continuato la Prof.ssa Specialista in Scienze dell’alimentazione, biologa e nutrizionista Università di Bari – la carne fornisce proteine di alta qualità, essenziali per la crescita e la riparazione dei tessuti, compresi muscoli, ossa e organi. La carne è inoltre una significativa fonte di ferro eme, il ferro altamente assorbibile fondamentale per lo sviluppo cognitivo e la prevenzione dell’anemia nei neonati e nei bambini. Durante l’adolescenza, la rapida crescita e l’incremento dell’attività fisica aumentano il fabbisogno di proteine e dei nutrienti essenziali presenti nella carne. Le adolescenti inoltre hanno un fabbisogno più elevato di ferro e la forma altamente biodisponibile presente nella carne ne fa un alimento da privilegiare. Con l’avanzare dell’età, il mantenimento della massa muscolare diventa cruciale per la salute generale e la funzionalità. Le proteine della carne forniscono amminoacidi essenziali necessari per la manutenzione e la riparazione muscolare. Durante la gravidanza e l’allattamento, le donne hanno bisogno di nutrienti aggiuntivi, tra cui proteine, ferro e vitamine del gruppo B, per sostenere la crescita fetale e la produzione di latte. Negli anziani, il mantenimento della massa muscolare è fondamentale per l’indipendenza e la salute generale. I nutrienti della carne aiutano a soddisfare queste necessità”.
Rischi di patologie? Una visione semplice e non articolata
“Studi di carattere epidemiologico, condotti in vari Paesi del mondo, associano il consumo alimentare di quantità elevate di carne rossa ad un aumento del rischio di sviluppare alcune patologie, come alcune malattie cardiovascolari ed alcuni tumori. Questi studi hanno portato a chiavi lettura semplificate, che spesso etichettano la carne rossa come intrinsecamente pericolosa. In realtà – ha sottolineato il Prof. Andrea Poli, Presidente di NFI – Nutrition Foundation of Italy – è importante ricordare prima di tutto che da questi studi emergono per definizione solamente associazioni, e non relazioni di natura causale; inoltre gli effetti non favorevoli si osservano in genere solamente in una parte ridotta della popolazione (spesso il 10-20% con maggiori consumi). Questi effetti sono inoltre di ampiezza ridotta o molto ridotta, e potrebbero anche essere dovuti, almeno in parte, non tanto alla carne in sé ma alle sue tecniche di cottura (per esempio a grigliature troppo spinte che portano alla carbonizzazione di parte del tessuto organico), che potrebbero essere facilmente modificate”.
Utile per prevenire la perdita di fibre muscolari e per i traumi
“Indicazioni mediche per una assunzione ragionata e ragionevole di carne rossa si basano sull’esistenza di alcune condizioni cliniche in cui l’apporto aminoacidico, minerale come ferro o zinco e vitaminico, ottenibili con queste carni, possono giustificare un’indicazione specifica all’assunzione ragionevole di questi alimenti. Esempi specifici – ha presentato il Prof. Arrigo Cicero Presidente Società Italiana di Nutraceutica – sono la prevenzione e la gestione della perdita di massa muscolare a seguito di immobilizzazione prolungata, anche parziale e solo di pochi giorni, per traumi o malattie, incluse quelle psichiatriche. Il fenomeno si amplifica nel periodo post-chirurgico se vi è necessità di cicatrizzazione, e più in generale di riparazione dei tessuti, più o meno associata ad importante perdita di sangue con conseguente anemizzazione”.
Si importa dall’estero operando bene grazie alla professionalità degli operatori
“Le filiere delle carni rosse in Italia presentano caratteristiche peculiari. Entrambe non sono sufficienti a far raggiungere l’autosufficienza al nostro Paese: siamo importatori netti sia di carni bovine che suine. Per la produzione di carni bovine, in particolare, l’Italia importa anche gran parte dei ristalli che vengono poi portati al peso finale negli allevamenti del nostro Paese. Per le carni suine, invece, la produzione nazionale è concentrata sul suino pesante destinato alle filiere dei salumi ad alto valore aggiunto che caratterizzano l’agroalimentare del nostro Paese e che contribuiscono in modo importante al riequilibrio della bilancia commerciale con importanti flussi di esportazioni. La dimensione degli allevamenti – ha sottolineato il Prof. Gabriele Canali Docente di Economia e Politica Agro-Alimentare Università Cattolica del Sacro Cuore – e la professionalità degli operatori coinvolti in queste due filiere sono un’importante caratteristica che consente di realizzare e promuovere investimenti destinati a proseguire in un percorso iniziato da tempo, di miglioramento progressivo della sostenibilità, sia socio-economica che ambientale delle filiere”.
Focus sociale ed economico-giuridico per la tutela del consumatore
“La crescente attenzione nei riguardi del diritto alla salute e di un modello economico ispirato al canone della sostenibilità ambientale ha creato un quadro complessivo nel quale, anche muovendo dal principio di precauzione, sono state sviluppate letture interpretative volte a promuovere una limitazione del consumo di cibi quali le carni rosse. In quest’ottica non sono mancati anche tentativi di prospettare la possibilità di azioni risarcitorie basate sul “difetto di informazione”, ossia sulla mancata comunicazione al consumatore dei possibili rischi correlati al consumo di questo genere di alimenti. In realtà – ha dichiarato il Prof. Enrico Al Mureden Ordinario di Diritto Civile Università di Bologna – questo scenario costituisce il frutto di una distorta percezione dei rischi connessi al consumo di carne rossa e ad una inopportuna polarizzazione dell’attenzione intorno al problema della tutela della salute conseguita attraverso un approccio teso a perseguire l’obiettivo del “rischio zero”. In definitiva, pertanto, nel quadro normativo attuale il ruolo del giurista deve consistere nel porre un argine ad un’espansione incontrollata ed ingiustificata delle responsabilità in capo a coloro che compongono la articolata filiera produttiva e commerciale della carne rossa. Risulta determinante, pertanto, l’introduzione di regole equilibrate le quali – seppur concepite in un sistema ispirato al principio di precauzione e teso a garantire un elevato livello di protezione della salute – adottino scelte “proporzionali” e quindi idonee a garantire una tutela della salute compatibile anche con la salvaguardia di atri valori fondamentali quali la libertà di scelta del consumatore, l’efficiente funzionamento del mercato e le istanze di ordine sociale connesse alla produzione di carne rossa”.