In meno di due settimane due notizie che costeranno caro alla Monsanto, la multinazionale americana che, grazie al quasi monopolio dei semi modificati geneticamente, sta a significare OGM.
La prima parla dei danni alla salute dei mammiferi, cioè anche di noi esseri umani, provocati dal ben noto mais OGM della Monsanto, diffuso per la sua fama di essere resistente alla siccità. Grossi danni, dicevamo, agli organi dei mammiferi, accertati da una ricerca con i risultati pubblicati sulla rivista International Journal of Biological Sciences, che dovrebbero preoccupare tutti.
Sapevamo dei danni (quisquiglie per i fautori, compresi illustri scienziati) degli OGM alla biodiversità, ai contadini e all’economia agricola di territori poveri, ma non ancora eravamo a conoscenza di quelli alla salute.
A distanza di qualche giorno la seconda notizia, puntualmente riportata da Greenreport, anch’essa poco edificante per la povera Monsanto: la condanna del tribunale di Lione a risarcire i danni a un coltivatore francese per la grave intossicazione provocata dal contatto con l’erbicida Lasso, sempre della povera Monsanto. Una condanna che dovrebbe far riflettere la Ue, che, poco più di un mese fa, ha dato il via libera all’importazione e trasformazione in Europa di tre varietà di mais OGM. E non solo, anche quanti in Italia e nel mondo pensano agli OGM come una risposta alla sicurezza alimentare, che non c’è stata, e, a nostro modesto parere, non ci sarà.
Due notizie che stanno a confermare quanto andiamo sostenendo da tempo con il No convinto agli OGM e, soprattutto, con il no a un sistema agrochimico e agroalimentare che sta mettendo ai margini l’agricoltura e limitando il nostro territorio che, ogni giorno, perde risorse importanti come la biodiversità, l’ambiente, il paesaggio.
Due notizie che ci portano a insistere con l’invito agli agricoltori ad astenersi, da subito, dall’acquistare diserbanti, pesticidi e gli stessi concimi, per colpire al cuore questo modello che non ha alcun rispetto per la natura e per gli uomini, e, a dichiarare il 2012, anno sabbatico, cioè quello dedicato al riposo e alla riflessione, che gli ebrei, un tempo, praticavano ogni sette anni.
Niente di particolare e niente di difficile:
1) Astensione dalle pratiche colturali che sono propagandate come necessarie per delle grandi raccolte, per poi prendere atto, al momento di tirare le somme, che questo propagandato aumento dei raccolti non basta per recuperare i soldi spesi per produrre. In pratica l’agricoltore lavora e si pena per ingrassare l’agroindustria e l’agrochimica e, così, come sanno bene i diretti interessatii, indebitandosi sempre di più, finendo col farsi male da soli.
2) Utilizzare il tempo dei trattamenti per riflettere insieme con gli altri sulla situazione di crisi e vedere, accertato che da qualche tempo nessuno parla se non attraverso i comunicati stampa, quali sono le soluzioni che possono dare una svolta alla situazione drammatica che si vive nelle campagne. Nel frattempo avere incontri con le istituzioni, i governi, le forze politiche e sindacali, le industrie e, soprattutto, i consumatori, per farli ragionare sull’importanza che riveste l’agricoltura e sul contributo che essa può dare alla risoluzione della crisi più generale, prima di arrivare a nuovi tagli e a una situazione di totale impoverimento del Paese.
Una forma di lotta, come si può ben capire, che non disturba il traffico; non impegna le forze dell’ordine; non richiede permessi; non rivendica niente, se non il cambiamento della situazione e la possibilità di tornare a mettere qualche euro in tasca; non chiede contributi o favori, ma offre riflessioni e soluzioni con la sola partecipazione e il dialogo. I produttori, in pratica, riposati mentalmente e fisicamente, con il tempo a loro disposizione, diventano, insieme alle loro rappresentanze sindacali e professionali, i protagonisti di una proposta di rilancio dell’agricoltura, che, in questo nostro Paese, vuol dire anche rilancio del nostro Mezzogiorno.
Pasquale Di Lena