Non si è capito se “lo fanno o lo sono” a tartassare un comparto produttivo ridotto ai minimi termini dalla mancanza di programmazione, perché non c’è quel Piano Olivicolo Nazionale promesso alcuni decenni fa e, mai, che qualcuno l’abbia presentato o proposto.
Abbiamo appena letto una nota di agenzia che parla di una proposta di legge “salva – olio made in Italy” presentata il giorno 21 u.s., a cura della Coldiretti, Fondazione Symbola e Unaprol, per “costruire un rapporto consumatori e produttori e difendere l’eccellenza del patrimonio olivicolo nazionale”. “Un sistema di norme – continua la nota – a tutela dei consumatori e della reale concorrenza tra le imprese, in grado di preservare l’autenticità del prodotto. La veridicità della provenienza territoriale e della trasparenza delle informazioni”.
Sembra la riproposizione dei principi che hanno ispirato i regolamenti comunitari 2081 e 2082 del 1992, oggi modificati con i regolamenti 509 e 510 del 2006. Regolamenti che hanno portato ad avviare quel processo virtuoso che, grazie ai produttori e alle istituzioni (in particolare la lucida determinazione del Mipaaf), dall’inizio del secolo stanno dando primati nell’olio e nelle altre categorie di prodotti contrassegnati, a sigillo della qualità e dell’origine, da marchio Dop o Igp.
Ben 241 denominazioni di origine (152 dop e 89 Igp) con il riconoscimento dell’altro giorno della Dop “Cinta senese” sulle 1055 (543 dop e 513 igp) riconosciute dall’Unione europea nel rispettivo disciplinare di produzione che fa da garanzia sia della provenienza sia della qualità.
Una proposta di legge, quella sopra menzionata, che, qualora approvata, non solo è il riconoscimento degli errori commessi nel recente passato, da parte degli stessi suggeritori di oggi, con la partecipazione alla elaborazione di norme che non hanno prodotto alcun risultato se non quello di:
1. Peggiorare la situazione di mercato dell’olio extravergine di oliva italiano; appesantire ancor di più la già pesante burocrazia, ormai non più sopportabile da parte del produttore;
2. Allontanare il dialogo tra i vari soggetti della filiera e, così, rendere impossibile quella che è la prima vera necessità per il mondo produttivo;
3. Sputtanare le Dop e renderle prive di significato, con il rischio di interrompere il percorso proprio nel momento in cui si dovrebbero stimolare i più diretti interessati per accelerarlo e con esso creare, sulla base di una corretta informazione, l’alleanza tra produttori e consumatori;
4. Dare più forza all’intermediazione e alle concentrazioni commerciali.
5. Privilegiare quell’industria di trasformazione che, a parole, si vuole combattere, facendo di ogni erba un fascio, con il risultato di favorire quelle straniere, soprattutto se continuano a girare il mondo con il nome italiano, e di punire quelle nostre.
6. Sputtanare, così com’è successo con l’articolo uscito su Repubblica prima di Natale, l’olivicoltura italiana e i suoi preziosi oli.
Una voglia di farsi male e di far male a chi si dice di voler difendere, per noi, davvero incomprensibile, con uno spreco di energie quando, invece, c’è bisogno di raccoglierle tutte per salvare la nostra olivicoltura sempre più pressata da forze potenti. Interessi estranei al nostro paese che spingono per la creazione d’impianti superintensivi che questi sì, sono la fine dell’olivicoltura delle aree interne (l’olivicoltura dei grandi oli italiani) e, con essa, della biodiversità, del paesaggio, delle attività legate al comparto, delle tradizioni tra le quali il nostro patrimonio culinario.
La colpa della situazione che vive il nostro olio – possono stare certi i promotori della legge – non sta nella scritta se è meno o più di 1,5 centimetri, nella poca limpidezza dei marchi o nel tappo della bottiglia che permette il rabbocco (c’è da pensare ai costi di quest’operazione oltre all’inutilità). La colpa sta nella totale mancanza, come dicevamo all’inizio, di una politica riguardante l’agricoltura e questo suo fondamentale comparto produttivo; nell’incapacità di comunicare in mancanza di una strategia di marketing e ciò è dimostrato anche dal fallimento di progetti costosi di comunicazione che, dopo essere stati attivati, non hanno portato a nessun risultato tangibile.
Il fallimento di queste azioni e lo spreco di risorse sono dimostrati proprio dal fatto che si piange sullo stato del nostro olio e si continuano a cercare ancora palliativi per non affrontare con serietà e tutti insieme la situazione. Cioè prendere, una volta per tutte, il toro per le corna e smetterla di tergiversare, con il solo risultato di sprecare tempo e denaro e, diciamolo pure, pazienza, quella dei produttori che sono senza fiato e, quello che è peggio, soli. Tempo, denaro e pazienza oggi, più che mai, fondamentali preziosità.
Per guadagnarle invece di perderle queste preziosità, basta dedicarsi e concentrarsi sulle potenzialità delle nostre eccellenze Dop e Igp e sulla comunicazione e spiegazione ai consumatori dei marchi europei per avere subito risultati concreti sotto l’aspetto del marketing e, anche, dell’alleanza con i consumatori.
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