REGGIO EMILIA – Dalle rive del Po alle colline, spuntano gli oliveti sul territorio reggiano. È uno degli effetti dei cambiamenti climatici che influiscono con sempre più forza sulla nostra agricoltura. E dunque, anche sul tipo di coltivazioni presenti.
“L’agricoltura reggiana è un settore in costante evoluzione per la vitale necessità di adattarsi a un clima che mette a dura prova l’intero nostro territorio – inizia a spiegare Lorenzo Catellani, presidente Cia Reggio -. Oltre a una profonda evoluzione genetica che permette di avere le tradizionali colture più adatte a un contesto ambientale trasformato dal cambiamento climatico, è in atto anche la messa a dimora di nuove coltivazioni che possano crescere bene con estati sempre più lunghe e torride, periodi di estrema e prolungata siccità, inverni con temperature essenzialmente miti”.
In questo senso, Catellani segnala il ritorno – era presente nei secoli scorsi- di una “coltivazione davvero insolita fino a qualche decennio fa: l’olivo per la produzione di olio.
Tra qualche tempo non sarà più così strano vedere campi di queste piante accanto a cereali, foraggi e viti di lambrusco, magari trovare l’olio reggiano accanto alle nostre eccellenze Dop e Igt che tutti ci invidiano e che rendono la nostra agricoltura famosa in tutto il mondo”.
E chi poteva essere tra i primi a credere fortemente in questa coltivazione, se non una giovane imprenditrice agricola? “Ho deciso di provare a coltivare olivi perché mi piace sperimentare e mi piacciono le sfide – afferma Silvia Subazzoli -. E così ho piantato quasi 3 mila piantine di olivo in un terreno ereditato dai miei nonni, particolarmente adatto perché sabbioso: evita il ristagno idrico, nemico degli olivi”.
A seguire da vicino la crescita, vi è una squadra di agronomi ed esperti: “Sono molto soddisfatti perché le piante sono sane e crescono rigogliosamente: si sono adattate ottimamente al terreno e al clima. Tra tre anni potremo iniziare la produzione del primo olio per cui abbiamo già tanti interessanti progetti”.
Silvia rivela poi che “sono numerose le telefonate e le richieste di informazioni che mi arrivano da altri imprenditori agricoli reggiani che stanno pensando di intraprendere la stessa strada. Siamo davvero soddisfatti”. La sua impresa agricola prevede anche diversi ettari di vitigni di lambrusco e seminativi: “Penso che sia fondamentale diversificare le produzioni. Una cosa non esclude l’altra. Ma un minimo comun denominatore c’è: sono tutte coltivazioni biologiche”.
Forse non tutti sanno che le coltivazioni di olivi sul territorio reggiano hanno una storia molto lunga alle spalle. Le approfondite ricerche del professor Ugo Pellini, indicano che “sul territorio reggiano l’olivo era presente addirittura nel 1200 in un’area collinare estesa da Scandiano a Quattro Castella caratterizzata da un micro-clima relativamente mite. Gli utilizzi erano essenzialmente per la liturgia, la medicina, la farmacopea, l’illuminazione di ambienti sacri. Meno utilizzato l’olio come alimento: da noi erano più comuni il lardo e lo strutto”.
Il susseguirsi di inverni molto rigidi -alcuni studiosi parlano addirittura di un periodo di ‘micro-glaciazione’- ha però progressivamente cancellato le coltivazioni di olivi nel reggiano: queste piante mediterranee non sono infatti adatte a sopravvivere alle gelate e alle rigide temperature. Ora i cambiamenti climatici le stanno riportando in grande quantità su una vasta area del nostro territorio.