La Cantina dei Marchesi Antinori nel Chianti Classico è un luogo dove il concetto di tempo si fa labile e si confonde, dove antico e contemporaneo si susseguono senza soluzione di continuità per testimoniare il legame profondo, già dal 1385, alle arti: pittura, scultura, architettura, ma anche l’arte, non meno difficile e misteriosa, di saper trasformare i frutti della terra in grandi vini. Spazio sospeso nel tempo, dove l’avanguardia dialoga con la tradizione, le opere degli artisti contemporanei con quelle della collezione storica, nella traccia del secolare mecenatismo fiorentino. Con questo evento, la famiglia Antinori rinnova l’attitudine alla creatività, all’innovazione e all’ideazione che ne ha fatto una dinastia del vino conosciuta in tutto il mondo. Lo spazio museale della cantina diviene il fulcro di una mostra incentrata sulla ricerca delle forme dell’esistenza e richiama alla mente il mito della caverna di Platone, che insegna come l’amore per la conoscenza, per la cura dell’arte e della vite, possano portare l’uomo a liberarsi dalle gabbie dell’esperienza comune, necessariamente parziale, per raggiungere una comprensione più piena e consapevole del mondo.
Rinascimento – Il Palazzo Antinori è stato concepito in pieno Rinascimento da Giuliano da Maiano nel 1461 e terminato da Baccio d’Agnolo nel 1543. Da questo periodo storico straordinario e fortemente caratterizzato dalla filosofia neoplatonica inizia il percorso espositivo che propone una serie continua di andate e ritorno dalla storia alla contemporaneità. Un viaggio nel tempo lungo il quale ci accompagnano tre artisti di fama internazionale: Yona Friedman, Rosa Barba e Jean-Baptiste Decavèle. Grazie a queste guide eccezionali siamo condotti a misurarci con lo spazio reale e quello immaginario, con il mito di cui il paesaggio toscano è intriso, lungo un percorso in cui la storia e la tradizione rappresentano un valore imprescindibile per la comprensione del bello ideale, di quella entità superiore e ineffabile che i neoplatonici chiamavano la Nuda Veritas. Lo straordinario progetto della scuola di Leonardo da Vinci per il torchio, la selezione di documenti e ritratti della famiglia, lo stemma di famiglia di Giovanni della Robbia sono state collezionate nel corso delle generazioni. Queste opere, con la serie di paesaggi del Novecento, che rappresentano un momento chiave per la storia dell’arte moderna, sono diventati altrettanti spunti per la riflessione degli artisti invitati, che hanno trasformato la cantina in un’idea ontologica di paesaggio, abitato da dispositivi multipli, da congegni che mettono alla prova la percezione del visitatore e ne attivano la memoria, portando al centro del dibattito la rappresentazione artistica e il suo potere rigenerante.
Arte internazionale – Alla monumentale Iconostasi di Yona Friedman, che allude al continuo mutare dell’architettura e al suo forte potenziale di esperienza, si collega il film di Jean-Baptiste Decavèle, che crea una narrazione pittorica attraverso le immagini e gli oggetti conservati nelle stanze di Palazzo Antinori a Firenze. Si arriva così all’intervento di Rosa Barba, che trasforma il cortile in una camera ottica per restituirla come un orologio mistico. Il dialogo dei tre artisti è prima di tutto con l’architettura della cantina, un progetto architettonico dello Studio Archea che riallaccia quel legame tra modernità e tradizione che è l’essenza dell’Umanesimo e del Rinascimento come proposto da Giuliano da Maiano e Baccio d’Agnolo. Le opere realizzate dagli artisti per la Cantina del Chianti Classico sono cariche di simboli e vogliono restituire al visitatore il mistero di un luogo ipogeo e archetipico, uno spazio nella cui oscurità si genera la vita, come nella fase della Nigredo o Opera al Nero, in cui la materia si dissolve per dare origine all’opus alchemicum: la pietra filosofale.
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