Peste suina. Assosuini: Ma quali allevamenti intensivi che diffondono il virus: sono una barriera alla PSA

ROMA – “Spiace leggere Slow Food, in un momento che richiederebbe responsabilità e serietà, accusare chi oggi sta soffrendo, nonostante tutte le misure messe in campo. Secondo loro la PSA attecchirebbe, infatti, grazie al “sovraffollamento” dei “grandi allevamenti”.

Niente di più falso, sono stati coinvolti allevamenti di ogni dimensione. Loro dicono che i micro allevamenti verrebbero risparmiati. Ma non è affatto vero, uno dei primi casi si è sviluppato nel rifugio Cuori Liberi, di fatto un micro allevamento con gli animali semi bradi. Gli allevamenti con i maiali liberi sono il maggior rischio per la diffusione. Quelli chiusi sono i più sicuri.

Perché allora vediamo più casi in quelli più grandi? La verità è che negli allevamenti professionali, erroneamente definitivi “intensivi”, i controlli e la responsabilità sono massimi. Qui al primo sintomo si chiama il veterinario e si scoprono subito i focolai. In alcuni casi non si è arrivati nemmeno ad avere un solo capo sintomatico: la PSA è stata scoperta prima. Questo perché i nostri allevamenti sono sicuri. Purtroppo i cinghiali non riescono a stare lontani dalle scrofaie. E i loro escrementi contaminano l’ambiente. È così che entra la PSA.

Sarà per questi vuoti di conoscenza che dopo la prima riunione con il Commissario Straordinario Caputo nessuno ha voluto parlare più con loro? Il settore vive un momento delicato, non ci servono apprendisti stregoni che vivono di allarmismi. Ci serve la scienza e la determinazione di eradicare la PSA tra i cinghiali. Sparando se necessario. Il resto è bella filosofia che potremo fare a emergenza finita.”

Lo scrive in una nota Assosuini.

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