Il grano Creso compie 50 anni: pietra miliare nella ricerca genetica italiana

di Pasquale De Vita e Nicola Pecchioni 

CREA CEREALICOLTURA

ACCADEMIA DEI GEORGOFILI 

FIRENZE – Nel 1974 in Italia si coltivavano 1,6 milioni di ettari di grano duro, la resa media era di 18,4 q/ha e la produzione nazionale era di 2,84 milioni di tonnellate.

Nello stesso anno la produzione di pasta era di 0,87 milioni di tonnellate e il fabbisogno di materia prima veniva soddisfatto con le importazioni di grano duro dall’estero. Qualche anno prima in Italia era stata varata la legge 580/1967, le cui norme vincolavano i produttori di pasta all’utilizzo esclusivo della semola di grano duro.

Questo provvedimento amplificò ulteriormente la necessità di aumentare la produzione nazionale, estendendo la coltivazione del grano duro all’Italia centro-settentrionale, con la prospettiva di limitare l’approvvigionamento dall’estero. La possibilità di sostituire la produzione di grano tenero al Nord era però legata alla necessità di poter disporre di varietà di grano duro capaci di esprimere lo stesso potenziale produttivo.

E’ in questo contesto che si inserisce l’esperienza rivoluzionaria del Creso e del suo costitutore Prof. Alessandro Bozzini, agronomo e genetista agrario, allievo del Prof. Francesco d’Amato durante i suoi studi a Pisa. Alla fine degli anni ’50, durante la specializzazione post-laurea all’Università del Minnesota, Bozzini ebbe l’opportunità di conoscere il futuro premio Nobel N. Borlaug. Nell’occasione, Borlaug gli confidò l’intenzione di trasferire i geni per la riduzione della taglia, presenti nel frumento tenero giapponese Norin 10, anche nel frumento duro, attraverso un programma di incroci da realizzarsi in Messico al CIMMYT. Bozzini, in quell’occasione, gli consigliò di utilizzare, nel nuovo programma di incroci, la varietà Cappelli, esaltandone l’ampia adattabilità e le spiccate caratteristiche qualitative della granella.

Nel frattempo, tornato a Roma, Bozzini iniziò a lavorare su un programma di citogenetica, mutagenesi artificiale e miglioramento genetico presso il Centro Studi Nucleari della Casaccia (CNEN), sotto la guida del Prof. G.T. Scarascia Mugnozza. Anche in questo caso l’obiettivo era quello di identificare e selezionare mutanti di grano duro a taglia bassa, a partire dalle varietà coltivate all’epoca, particolarmente sensibili all’allettamento. Il risultato di questo programma portò alla selezione di mutanti più bassi rispetto ai parentali di origine, di circa 15-30 cm. Tuttavia, questi materiali non assicuravano un buon rendimento agronomico, si presentavano con un ciclo di sviluppo eccessivamente tardivo ed una scarsa qualità della granella. Tra essi solo il mutante Cp B144, derivato da Cappelli, possedeva una granella vitrea di buona qualità.

Alcuni anni dopo, in occasione di un convegno in Francia, Borlaug consegna a Bozzini una manciata di semi F3, frutto di quel lavoro di trasferimento dei geni per la riduzione della taglia che aveva avviato in Messico. Si trattava di linee derivate dall’incrocio tra la selezione n. 14 Norin-10 x Brevor (N10-B) e la varietà Yaktana-54 (Yt54), il cui prodotto era stato re-incrociato più volte con Teuachan-60 (Tc3) e proprio con quel Cappelli (Cp2) che Bozzini gli aveva suggerito anni prima. Sulla bustina di semi consegnata da Borlaug era riportata la seguente genealogia: [(Yt54-N10-B) Cp2-63 Tc3]. Lo stesso anno, Bozzini coltivò queste linee a Roma e i dati confermarono le caratteristiche indicate da Borlaug: taglia molto bassa (circa 60-70 cm); buona fertilità di spiga; foglie a portamento eretto; ottima resistenza alla ruggine bruna ed una buona dimensione dei semi. L’unico punto debole dei nuovi materiali messicani era rappresentato dalla struttura semi-vitrea delle cariossidi. Per questo motivo nel 1964 Bozzini decise di incrociare alcune selezioni di linee F4 con il mutante di Cappelli Cp B144.

Negli anni successivi, tra le migliaia di progenie derivate da questo nuovo incrocio, Bozzini selezionò l’unica linea capace di mantenere tutte le caratteristiche distintive dei materiali messicani e che presentava una granella grande a frattura vitrea più adatta alla pastificazione. Si trattava della linea FB-55 iscritta al Registro Nazionale delle Varietà nel 1974 con il nome Creso.

La varietà ebbe immediatamente una rapida diffusione, soprattutto nel Centro-Nord Italia, dimostrando in brevissimo tempo che i frumenti duri avevano ormai raggiunto le stesse potenzialità produttive dei teneri (fino a 8-10 t ha-1). Ed è così che in breve tempo il Creso diventò la varietà più coltivata in Italia.

Oggi conosciamo i motivi del successo così importante del Creso, le basi genetiche che ne hanno determinato l’elevata produttività, l’adattabilità e la capacità di rispondere agli input agronomici. Ne conosciamo il gene responsabile della bassa taglia (Rht-1), introdotto attraverso gli incroci con il parentale Norin-10, la sua posizione nel genoma (cromosoma 4) e la sua funzione (riconoscere la gibberellina e dirigerla verso i siti d’azione, ossia le pareti delle cellule dell’internodo), e sappiamo che nel frumento giapponese Norin-10 questo gene non funzionava, e quindi la gibberellina continuava ad essere prodotta dalla pianta, ma non veniva veicolata per distendere le pareti cellulari dell’internodo (le piante rimanevano basse). Questo è il vero motivo della bassa taglia del Creso, un aspetto importante che deve servire per sgomberare il campo dalla falsa credenza per cui la riduzione della taglia nelle varietà moderne di grano duro, a partire proprio dal Creso, sia stata ottenuta per effetto della mutagenesi indotta artificialmente sul parentale CpB144.

Il Creso è stato un punto di riferimento nell’evoluzione del settore agricolo italiano, la sua longevità e il suo impatto positivo nel settore ne hanno fatto una pietra miliare nella ricerca genetica italiana.

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