“Vogliamo sederci ad un tavolo con gli industriali per trovare un accordo su un prezzo minimo sostenibile”.Questo il commento di Marco Nicastro, presidente della Federazione Nazionale di Prodotto (FNP) del pomodoro da industria di Confagricoltura, a seguito dei primi timidi passi mossi tra la parte agricola ed industriale, per definire le regole della prossima campagna del pomodoro trasformato. Tale necessità è emersa con chiarezza nel corso dei lavori della prima riunione della FNP del 2013 partecipata dalle imprese del comparto associate.
Incertezza sul prezzo – Purtroppo, come tutte le passate stagioni, i tempi delle trattative si trascinano inesorabilmente e così gli agricoltori, che avevano destinato parte delle loro superfici a questo tipo di coltivazione, si vedono costretti a seminare senza un accordo sul prezzo e senza la certezza del ritiro del prodotto. “Si assiste sempre allo stesso spettacolo – ha proseguito Nicastro -. A causa di una mancata programmazione, le quantità prodotte risultano eccedentarie rispetto al fabbisogno dell’industria che ritira a prezzi stracciati. L’unico modo di risolvere l’annosa questione, sarebbe quello di riuscire ad arrivare ad un accordo entro il mese di gennaio, stabilendo quantità da consegnare e, soprattutto, fissando un prezzo minimo che possa essere remunerativo per la parte agricola.
Trattative – La trattativa partita nel Nord Italia non lascia comunque ben sperare: l’industria ha, infatti, affermato che per scongiurare un surplus produttivo il prezzo stabilito per quest’anno dovrebbe essere inferiore di 5€/ton rispetto all’anno precedente. Scendendo abbondantemente al di sotto degli 80 euro per tonnellata. “Non è concepibile che un imprenditore continui a produrre sotto costo – ha aggiunto il presidente della FNP – non si può sostenere una tale situazione di incertezza. Basti pensare che il prezzo al dettaglio di una confezione di pomodori pelati da 400 grammi è in media 80 centesimi mentre l’imprenditore agricolo, per la stessa quantità, percepisce solo 4 centesimi. Questo è un problema di etica contrattuale che oggi trova un alleato nell’art. 62, laddove stabilisce la sanzionabilità di pratiche sleali”. Auspichiamo – ha concluso il rappresentante di Confagricoltura -una soluzione del problema in tempi brevi, altrimenti potrebbe accadere che i nostri produttori decidano di non coltivare più “l’oro rosso” simbolo e vanto del made in Italy”.