ROMA – “Importare olio quando è ancora in corso la campagna di raccolta in Italia, la Puglia deve ancora entrare a regime, è una pratica sleale che danneggia gli olivicoltori italiani e favorisce la speculazione”.
L’allarme di David Granieri, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di Unaprol, l’associazione dei produttori olivicoli – ad agricultura.it – , è legato alle attività di monitoraggio nei porti italiani realizzate dalle sezioni territoriali dell’organizzazione che hanno messo in luce “un considerevole aumento delle importazioni dai paesi del bacino del Mediterraneo, soprattutto da Marocco e Tunisia. Si tratta di una pratica sconsiderata che deve essere bloccata introducendo un divieto di acquisto da questi produttori in determinati periodi dell’anno”.
Un blocco temporale?
“Si. Noi siamo contrari ad un mercato aperto e dunque siamo per rispettare l’impegno preso con l’UE per l’acquisto dell’olio tunisino, ma è sbagliato e sconsiderato farlo con la campagna in corso. Il tetto va rispettato ma serve una moratoria durante la raccolta in Italia per valutare il raccolto, le rese e le quantità totali che si possono produrre dalle olive italiane. Senza una moratoria temporale cresce il rischio di dumping economico a danni dell’extravergine di oliva 100 per cento made in Italy in un’annata che si prospetta più delicata rispetto a quella già difficile dell’anno scorso”.
Perché?
“Perché abbiamo un problema di rese che continuano ad essere troppo basse. Certo, aspettiamo la Puglia, ma le stime iniziali della produzione di circa 220/230 mila tonnellate potrebbe essere troppo ottimistiche. Rischiamo di avere poco olio anche se sarà di qualità eccellentissima perché le olive si presentano sane e pulite senza aver subito attacchi dai parassiti”.
Che cosa vuol dire avere poco olio?
“Che per fare la stessa quantità d’olio dell’anno scorso serviranno il doppio delle olive. E anche la Spagna dovrà affrontare problemi di rese”.
Come si esce da questa situazione?
“L’anno scorso l’olio extravergine d’oliva 100% Made in Italy è stato l’unico a crescere nei consumi dimostrando come i consumatori italiani abbiano premiato la qualità di un prodotto dalle caratteristiche organolettiche immediatamente percepibili. Il nostro extravergine di oliva, dunque, non deve essere considerato più una commodity legata alla logica del prezzo, ma un vero e proprio alimento. Da qui la necessità di tenere alta la guardia contro ogni tentativo di speculazione che possono trovare terreno fertile nella scarsità di prodotto a livello mondiale, nell’inevitabile incremento delle quotazioni e nella riduzione del differenziale di prezzo tra l’olio extravergine italiano e quello dei principali paesi produttori”.
In concreto?
“Serve una forte valorizzazione interna, serve una politica nazionale perché tutte le iniziative sono demandate alle regioni. Ed è necessario tenere alta la guardia contro ogni tentativo di speculazione che possono trovare terreno fertile nella scarsità di prodotto a livello mondiale, nell’inevitabile incremento delle quotazioni e nella riduzione del differenziale di prezzo tra l’olio extravergine italiano e quello dei principali paesi produttori.
Ecco perché dobbiamo rafforzare la disciplina sui condimenti: via l’indicazione in etichetta della percentuale di olio extravergine d’oliva presente in miscele che utilizzano prevalentemente oli raffinati. E quelle confezioni devono essere nettamente separate sugli scaffali dall’olio extravergine d’oliva, per non ingenerare confusione nei consumatori e consentire manovre ingannevoli”.