ROMA – Negli ultimi anni, l’approccio One Health, che promuove l’equilibrio tra salute umana, animale e ambientale, ha acquisito crescente rilevanza a livello globale.

Tuttavia, nonostante il riconoscimento ufficiale – avvenuto nel 2022 – anche della salute delle piante come componente fondamentale, il contributo del settore agricolo, e in particolare delle colture agrarie, resta ancora scarsamente integrato nelle strategie One Health. Questa lacuna si riflette sia in una regolamentazione (sempre più restrittiva) dell’uso degli agrofarmaci frammentata e spesso non basata su evidenze solide, sia nella difficoltà di quantificare il contributo effettivo dei diversi ambiti (umano, animale e vegetale) al carico chimico ambientale complessivo, rendendo difficile individuare le aree che necessitano di interventi normativi più mirati.
Uno studio recente, coordinato dal professor Stefano Cesco della Libera Università di Bolzano e realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Diritto dell’Università di Wageningen (NL) e con la Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, affronta proprio questa criticità, evidenziando le gravi lacune nella disponibilità e nella standardizzazione dei dati relativi all’uso di sostanze chimiche nei tre domini.

Al team di ricerca della Libera Università di Bolzano hanno partecipato anche i professori Youry Pii, Fabrizio Mazzetto e Guido Orzes, apportando competenze rispettivamente in ambito chimico-agrario, agronomico e ingegneristico (agrario e gestionale).
Sebbene emergano alcune tendenze generali, le differenze nei metodi di raccolta, nei formati e nei criteri utilizzati nei diversi Paesi considerati (Italia, Paesi Bassi, Germania, Spagna e Francia) e nei settori analizzati impediscono confronti affidabili. Questa frammentazione ostacola la definizione di una base informata per l’elaborazione di politiche di mitigazione efficaci e rende difficile valutarne l’efficacia nel tempo.
Lo studio evidenzia come l’agricoltura rappresenti certamente una fonte significativa di input chimici nell’ambiente, ma sottolinea anche il ruolo rilevante dei settori della salute umana e veterinaria, i cui dati sono spesso incompleti, anche per motivi legati alla confidenzialità commerciale, che ne possono sottostimare significativamente il relativo impatto. Per affrontare questa complessità, è necessario adottare una visione sistemica e integrata e promuovere un coordinamento regolatorio efficace, in grado di cogliere l’interazione tra i diversi ambiti della salute e dell’ambiente.
Tra le principali raccomandazioni formulate dal team italo-olandese si segnalano:
- Standardizzare la raccolta e la condivisione dei dati tra settori e Paesi, per consentire analisi integrate e fondate su evidenze comparabili;
- Armonizzare i quadri normativi internazionali, per evitare che regolamentazioni più severe in alcune aree inducano lo spostamento delle produzioni più impattanti verso regioni con normative meno restrittive;
- Rafforzare la collaborazione interdisciplinare tra scienziati, decisori politici, industria e, soprattutto, professionisti del settore agricolo, forestale e ambientale. In quest’ottica, viene anche rilanciata la proposta di introdurre un sistema di prescrizione tecnica per l’uso degli agrofarmaci, analogo a quello già previsto per i medicinali ad uso umano e veterinario. Una simile misura permetterebbe un uso più mirato, responsabile ed efficace dei principi attivi, sotto la supervisione di esperti qualificati.
Un punto chiave emerso dallo studio è il riconoscimento del ruolo strategico di agronomi, forestali, zootecnici e delle comunità rurali, non solo come tecnici, ma come presìdi territoriali capaci di promuovere una gestione sostenibile delle risorse. Il loro coinvolgimento attivo è essenziale per garantire l’efficacia delle politiche ambientali, diffondere pratiche agricole sostenibili e rafforzare la resilienza delle aree rurali. Questo è particolarmente rilevante in un contesto in cui l’agricoltura si trova ad affrontare una sfida doppia: da un lato, ridurre il proprio impatto ambientale; dall’altro, garantire la sicurezza alimentare per una popolazione globale in crescita.
Infine, lo studio sottolinea la necessità di rafforzare la cooperazione internazionale e di investire in ricerca e innovazione, promuovendo lo sviluppo di modelli predittivi che integrino dati ambientali, agricoli ed epidemiologici. Tecnologie come l’agricoltura di precisione, la gestione integrata delle colture e la fertilizzazione mirata, insieme a biotecnologie avanzate, come le Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), per la selezione di varietà e cultivar più resistenti ai patogeni, rappresentano strumenti chiave per ridurre l’impatto ambientale senza compromettere la produttività.
Solo attraverso un approccio One Health realmente integrato – fondato su dati affidabili, ricerca condivisa e una governance coordinata – sarà possibile affrontare le grandi sfide ambientali e sanitarie del nostro tempo, garantendo al contempo salute pubblica, protezione degli ecosistemi e sostenibilità delle produzioni agricole.