Prezzo del latte in aumento, trascinato dalla Cina

Il futuro sarà della polvere di latte, più che dei formaggi Dop? E il prezzo del latte, a livello mondiale, salirà o sarà destinato a diminuire? Con quali riflessi per gli allevatori italiani, il cui contratto interprofessionale con l’industria lattiero casearia resterà in vigore fino al 31 gennaio prossimo, al prezzo di 42 centesimi al litro? Domande legittime, viste le dinamiche del mercato a livello mondiale, che vedono la Cina importare notevoli quantità di latte in polvere (causa abbattimento di 2.000.000 di capi) e rivestire sempre di più il ruolo di player determinante sui trend globali dei prezzi. Da luglio a ottobre, infatti, secondo i dati di Clal, piattaforma che monitora il mercato mondiale del latte e che parteciperà con un approfondimento a Fieragricola 2014 (6-9 febbraio, www.fieragricola.it), l’import cinese di polvere di latte scremato (SMP) e polvere di latte intero (WMP), nei primi 10 mesi del 2013 sono aumentati rispettivamente del 20 per cento e del 30 per cento, con punte mensili di 29.000 tonnellate per la SMP e 79.000 tonnellate per la WMP.

Mercati – Nuova Zelanda e Stati Uniti rappresentano i canali di approvvigionamento privilegiati per il Paese del Dragone. Addirittura la Nuova Zelanda, nonostante il falso caso di botulino, ha esportato in Cina nel solo mese di ottobre 86.404 tonnellate (anche probabilmente per effetto dell’abbassamento dei dazi doganali, che hanno agevolato l’export), trascinando il mercato mondiale dei prezzi del latte alla
stalla su livelli di prezzo elevati, intorno a 420-440 euro la tonnellata. Una cifra piuttosto alta, se si considera – come detto – che il prezzo del latte (e non delle polveri) in Italia è di 420 euro la tonnellata e che ha una destinazione completamente diversa, per la produzione cioè di formaggi a Denominazione d’origine protetta, il cui valore aggiunto rispetto alle polveri di latte dovrebbe essere indiscutibilmente più elevato.

Soluzioni – Una delle soluzioni che potrebbero portare vantaggi per gli allevatori e la filiera lattiero casearia italiani è la riduzione della produzione di Grana Padano e Parmigiano-Reggiano, i due formaggi leader del Paese. Invertendo così il trend di crescita delle produzioni, ma, immettendo latte italiano per uso alimentare nel circuito, distogliendolo dai formaggi Dop, si potrebbero ridurre le importazioni di latte dall’estero (pagato 50-52 centesimi al litro) e rivitalizzare il mercato del Grana Padano (quotato 7,40- 7,60 €/kg sulla piazza di Mantova) e del Parmigiano-Reggiano (8,90-9,35 €/kg sulla piazza di Parma). Secondo i dati Clal, inoltre, i margini per «alleggerire» la produzione dei formaggi Dop a pasta dura sarebbero piuttosto buoni, alla luce del fatto che l’Italia, fra latte sfuso e panna sfusa nel 2012 ha importato 1,7 milioni di tonnellate, pari a 4.700 tonnellate al giorno.

Lo scenario mondiale, tuttavia, apre il fianco ad altre valutazioni. Con un aumento dei prezzi mondiali
come quello che si è registrato nelle ultime settimane – in Oceania, la polvere di latte scremato (SMP)
è aumentata da 4.500 a 4.835 US$ a tonnellata – e con la Cina che nel 2012 ha importato da sola il 18
per cento della polvere di latte intero del mondo e il 9 per cento della polvere di latte scremato
(fonte: Clal, anno 2012), fa ipotizzare che il prezzo del latte rimarrà elevato. Ma i consumatori
saranno disposti ad acquistare il latte e derivati a prezzi così alti? E se la Cina prosegue la propria corsa all’approvvigionamento, il mercato mondiale potrà avere come unico riferimento il mercato cinese e basta, visto che gli altri Paesi nel mondo acquistano meno latte? Il mercato italiano. È molto probabile che il prezzo pagato dall’industria di trasformazione dal prossimo anno aumenterà, trascinando il valore di compravendita di latte intorno ai 440 – 450 euro per tonnellata. Il contratto interprofessionale del latte con Italatte, siglato da Confagricoltura e Cia, ma non da Coldiretti, scadrà il 31 gennaio.

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