Oro rosso. Così è chiamato lo zafferano, pianta erbacea con fiori viola a imbuto i cui pistilli, seccati e ridotti in polvere gialla, forniscono una droga usata in medicina e soprattutto in cucina. Raro, difficile da coltivare, per fare un chilo di zafferano servono duecentocinquantamila fiori e seicento ore di lavoro manuale, e che può costare fino a 35 euro al grammo al consumatore finale, trova in montagna il suo habitat naturale. Le regioni storiche in cui viene coltivato sono la Toscana, l’Abruzzo e la Sardegna, con una produzione nazionale compresa tra i 450 e i 600 chili, per circa 50 ettari coltivati.
Zafferano di montagna Da sette anni circa anche in Valle d’Aosta, due pionieri Diego Bovard a Morgex, alta Valle, e Stefano Carletto a Chambave, media Valle, praticamente quasi nello stesso periodo, hanno scoperto o meglio riscoperto come lo zafferano non fosse nuovo alla coltivazione nella Regione più piccola d’Italia, dando vita quindi a nuovi stimoli in questo settore dell’agricoltura alpina creando rispettivamente le aziende La Branche e Safran De Cly.
Produzione storica Tra le più interessanti testimonianze dello zafferano nel passato agricolo valdostano ne troviamo una datata 24 settembre 1603 in cui tra alcuni atti di dote di un matrimonio a Saint Pierre si legge “A’ l’alinéa 7 de la page 5 du document ci dessous on lit: “(…) Plus le curty, thoppies, saffragnye attigues situés devant ledit chasteau du cochant que confinent le cimistière de Saint-Pierre (…) “. Lo zafferano viene anche citato dall’Abbé Treves, prete, scalatore e botanico di Courmayeur tra le piante rare e preziose della Valle d’Aosta, a La Salle e vi sono prove certe che questa spezia nei secoli ha attraversato l’Europa passando anche per i colli del Piccolo e del Gran San Bernardo. Diego Bovard inoltre è riuscito ad ottenere una testimonianza orale da una signora anziana che ricorda la raccolta e l’utilizzo di questa spezia per la colorazione dei tessuti. Lo zafferano è una pianta inversa, va in fiore quando le condizioni climatiche non lo permetterebbero più, quando comincia a fare freddo, in autunno, lei fiorisce, già a settembre i piccoli bulbi cominciano a germogliare e si aprono i fiori color lilla, con i piccoli filamenti rossi.
Il fiore è bellissimo e suggestivo nel suo colore caratteristico, i bulbi vengono messi a dimora ad agosto e i primi fiori compaiono con i primi freddi. Da ogni fiore si ricavano tre stimmi, i filamenti dal coloro rosso che vengono separati e messi a seccare e conservati al buio in appositi recipienti. Per ottenere 1 grammo di spezia ci vogliono dai 150 ai 200 fiori. Una coltivazione faticosa e manuale che richiede molte cure, il diserbamento manuale così come la raccolta dei fiori che deve avvenire prima che il sole sorga per poter garantire un prodotto di prima qualità certificata. Sono gli stigmi interi, e non macinati come si trovano normalmente in commercio l’ideale per l’utilizzo gastronomico, ma lo zafferano ha ottime potenzialità sia nell’industria farmaceutica per le sue qualità antidepressive, sia nella profumeria.
Gli usi dello zafferano Si mettono gli stimmi necessari in una tazza spezzandoli col dorso di un cucchiaino, lasciarli in ammollo in un liquido (a secondo della ricetta) che può essere acqua, brodo, latte (non l’olio perché la maggior parte dei componenti è idrosolubile) possibilmente per 4 ore o la notte precedente in un contenitore chiuso. Per un risotto allo zafferano, ad esempio,per 4 persone (300g di riso) usare 0,2g di stimmi di zafferano, pari a circa un cucchiaino da caffè abbondante.
Ricerca Da anni sia Diego che Stefano collaborano con l’Università della Montagna di Edolo (Bs) con analisi sulle produzioni e tavole rotonde con altri produttori italiani, per tutte gli aggiornamenti del caso è possibile consultare il blog “Oro rosso delle alpi: coltivare lo zafferano in montagna” un’iniziativa sviluppata all’interno del progetto “Caratterizzazione di materie prime di produzioni agroalimentari tradizionali di montagna: ricerca scientifica sugli aspetti qualitativi, salutistici, di valorizzazione e sostenibilità ambientale delle produzioni agroalimentari di montagna” e supportata dalla Fondazione della Comunità Bresciana Onlus e dall’Accordo di Programma Miur per affermazione in Edolo del Centro di Eccellenza Università della Montagna.