Ecco i singoli Focus presentati nel Rapporto di Ismea sull’agroalimentare
Ismea, l’export del made in Italy agroalimentare corre più di quello europeo
Con un valore di 41 miliardi di euro a fine 2017, l’Italia ha raggiunto il suo primato storico e detiene una quota sulle esportazioni agroalimentari dell’Ue (quasi 525 miliardi di euro) pari all’8%. Negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane del settore sono aumentate del 23%, più di quelle dell’Ue (+16%). È uno degli aspetti emersi dal rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi da ISMEA a Palazzo Wedekind, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio. Il ruolo del Made in Italy nelle esportazioni del settore primario europeo emerge chiaramente analizzando le prime cinque voci, per le quali l’Italia è leader. Così all’Italia si deve il 35%-36% dell’export europeo di mele e di uva, il 47% di quello di kiwi, il 61% di quello di nocciole sgusciate, il 35% di quello di prodotti vivaistici.
Anche sulle esportazioni comunitarie di prodotti alimentari trasformati l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano. Il nostro Paese, infatti, è il primo esportatore di pasta e di conserve di pomodoro con una quota del 65% circa del valore dell’export Ue; nel caso dei vini e dell’olio d’oliva scende in seconda posizione, incidendo rispettivamente per il 27% e per il 23% delle esportazioni europee; infine, con una quota del 13%, l’Italia è il quarto esportatore Ue di formaggi e latticini.
Guardando ai mercati di sbocco, si evidenzia, in particolare, il successo competitivo su Paesi a domanda più dinamica come Bulgaria, Lettonia e Romania. Progressi importanti si sono registrati in Ucraina, Brasile, Marocco; positivi, ma meno significativi, gli aumenti della quota italiana in Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina e Cina.
Ismea, agroalimentare un settore da 1,4 milioni di occupati
Il settore agroalimentare dà lavoro a 1 milione e 385 mila persone, pari al 5,5% degli occupati in Italia a fine 2017. Di questi la parte più grande (oltre 900 mila) sono gli addetti all’agricoltura, mentre l’industria alimentare assorbe circa 465 mila posti di lavoro. Sono alcuni dei numeri inerenti le dinamiche occupazionali che emergono dal Rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi da ISMEA a Palazzo Wedekind alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio.
Settore primario e industria alimentare hanno tuttavia dei trend di lungo periodo contrapposti, il primo cede strutturalmente forza lavoro, un fenomeno che accumuna l’Italia al resto delle economie avanzate, il secondo ha visto invece aumentare nel decennio il numero degli occupati a differenza del resto dell’economia.
Guardando tali dinamiche più da vicino, l’occupazione agricola in Italia sembra tuttavia tenere meglio che negli altri Paesi Ue. La riduzione del numero degli addetti negli ultimi 10 anni è di portata inferiore (-6,7% a fronte del -17,5% in media nella Ue) e si è interrotta a partire dal 2013, spuntando nell’ultimo quinquennio un recupero del 3%. Tale andamento risente in particolare della spinta della componente giovanile e si pone in marcata controtendenza rispetto alla dinamica negativa prevalente in Europa (-7,4%). Per l’industria alimentare italiana l’occupazione è cresciuta nel decennio e oggi è a un livello superiore del 2% rispetto all’anno pre-crisi, il 2007, con un incremento più netto negli ultimi 5 anni (+3,4%). Quanto al confronto del costo del lavoro in agricoltura tra l’Italia e i suoi principali competitor europei (Francia, Germania e Spagna), il nostro Paese si colloca al terzo posto, alle spalle di Francia e Germania, con 10,2 mila euro per addetto. Francia e Italia sono invece accomunate per l’elevata incidenza degli oneri sociali sul costo del lavoro complessivo, rispettivamente il 29% e il 23%, contro il 16% della Germania e addirittura l’11% della Spagna. Il divario tra le retribuzioni in agricoltura e nel complesso dei settori economici è consistente in tutti e quattro i paesi presi in esame. In Italia il salario annuo per il lavoratore agricolo è di 7.930 euro (sempre misurato in PPA), rispetto ai 20.133 per la media di tutti i settori di attività economica, con un differenziale 12.200 euro circa; questo differenziale salariale è ancora maggiore e sale a oltre 18 mila euro negli altri tre Paesi.
Ismea, agricoltura produce ricchezza ma realizza pochi utili
L’agricoltura italiana produce valore ma la ripartizione dei margini lungo la filiera presenta ancora forti squilibri a favore delle fasi più a valle (logistica e distribuzione). È uno degli aspetti che emerge dal rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi a Palazzo Wedekind da ISMEA alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio.
Dall’analisi della catena del valore di ISMEA emerge che su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, rimangono come utile solamente 6 euro, contro i 17 euro in capo alle imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si allunga, l’utile per l’imprenditore agricolo si contrae ulteriormente, scendendo sotto i 2 euro, al pari di quello realizzato dall’industria alimentare, mentre la quota preponderante del valore è destinata alla fase della distribuzione e della logistica che, prese insieme, trattengono 11 euro. Analizzando invece il reddito in agricoltura, secondo le elaborazioni ISMEA, nel 2017 il reddito reale annuo per unità di lavoro è pari a 20 mila euro, dato che si colloca sopra la media Ue (16,7 mila euro), ma molto al di sotto quella dei nostri principali Paesi competitor (Francia, Germania, Spagna in primis) che si attesta a 26,6 mila euro.
Ismea, 9 famiglie su 10 hanno acquistato bio nel 2017
L’agricoltura biologica coinvolge in Italia 1,8 milioni di ettari e 72 mila operatori certificati, con un aumento per entrambe le variabili del 40% circa rispetto al 2013. È uno degli aspetti che emerge dal rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi a Palazzo Wedekind da ISMEA alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio.
Anche sul fronte dei consumi, il biologico ormai non è più né una moda né una nicchia di mercato: 9 famiglie italiane su 10 hanno acquistato durante l’anno un prodotto certificato. Complessivamente l’incidenza del biologico nei consumi complessivi degli italiani ammonta al 3%, con settori che continuano a crescere e fare da traino come gli ortaggi (+11,5%) e la frutta (+18,3%) e altri, che seppur partiti con ritardo, mostrano performance di tutto rilievo: vino (+109,9%), carni fresche (+65,2%) e trasformate (+35,4%), oli e grassi vegetali (+41,1%).
Quando parliamo di biologico l’Italia risulta divisa in due: con il Nord della penisola che esprime il 64% della domanda di prodotti biologici e il Sud che ne rappresenta solo l’11%, pur essendo l’area del Paese da cui proviene gran parte della produzione certificata.Oltre che per le produzioni biologiche, l’agroalimentare italiano si connota anche per un sistema di qualità certificata che non ha eguali nel mondo. L’Italia vanta notoriamente il primato mondiale dei riconoscimenti Dop e Igp (818 tra vini e prodotti alimentari), ma soprattutto con un valore all’origine della produzione che è cresciuto, secondo le stime ISMEA, del 50% nel decennio, e un export triplicato.
Ismea, l’agricoltura italiana è la più multifunzionale d’Europa
Con un valore di 4,5 miliardi di euro delle attività secondarie agricole, come l’agriturismo, le vendite dirette e la produzione di energie rinnovabili, quella italiana si rivela l’agricoltura più multifunzionale d’Europa. È uno degli aspetti che emerge dal rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi a Palazzo Wedekind da ISMEA alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio. L’agriturismo in particolare rappresenta una specificità italiana che dal suo esordio negli anni ’70 ha avuto un notevole sviluppo, affermandosi come la tipologia più efficace di diversificazione dell’attività agricola e diventando allo stesso tempo uno dei comparti più di successo del turismo italiano. Alla fine del 2016 si contavano 22.661 strutture agrituristiche in Italia, quasi 5.000 in più rispetto al 2007 e uno stock in costante crescita negli anni, con un lieve rallentamento solo nel biennio 2012-2013, quando la crisi economica e il riordino della normativa a livello regionale hanno inciso anche sullo sviluppo di questo settore. Sono segnali di vitalità importanti per il settore primario nazionale – ha sottolineato l’ISMEA – che rivelano una crescente diffusione di imprese che oltre alla capacità di integrare le fonti di reddito, riescono a cavalcare i cambiamenti del contesto sociale ed economico. Il fenomeno della diversificazione ha avuto, infatti, un impatto non trascurabile sulla tenuta del valore aggiunto agricolo nell’ultimo decennio.
Ismea, il 15% del budget degli italiani va al cibo e alle bevande
Ammonta a 160 miliardi di euro la spesa che gli italiani hanno destinato nel 2017 all’alimentazione e alle bevande sia a casa sia fuori dalle mura domestiche. Una percentuale pari al 15% dei consumi totali. È quanto emerge dal rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi a Palazzo Wedekind, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio. Per quanto riguarda il solo consumo domestico, le elaborazioni ISMEA indicano per il 2017 un incremento della spesa del 3,2% rispetto all’anno precedente – tendenza che viene confermata anche nel primo trimestre di quest’anno e che va a consolidare il trend di crescita, dopo l’andamento stagnante in atto fino al 2016. Da segnalare in questa fase di recente ripresa dei consumi, il recupero nel 2017 delle vendite di carne e in generale di prodotti a base proteica quali salumi, uova e, in misura minore, latte e derivati, interessati da un crollo delle vendite negli ultimi 5 anni. Risulta in crescita anche la spesa per prodotti ortofrutticoli, dovuta non solo all’incremento dei prezzi ma anche alla capacità del comparto di intercettare, prima di altri, le nuove tendenze e le richieste dei consumatori, mettendo a punto un’offerta variegata di prodotti salutistici e ad alto contenuto di servizio, con tassi di crescita a due cifre in volume e valore, per tutto l’ultimo quinquennio. Guardando invece alla top ten dei prodotti maggiormente acquistati nel 2017 dagli italiani, troviamo sul podio l’ortofrutta fresca con un peso sulla spesa del 13,4%, le carni fresche (9,5%) e i formaggi (8,4%). A seguire salumi, ortofrutta trasformata, pesce, vino, latte, acqua in bottiglia e solo all’ultimo posto della top 10 la pasta. La dinamica dei consumi risente anche dei cambiamenti dei comportamenti d’acquisto, caratterizzati da una sempre più marcata polarizzazione su due categorie di consumatori: i Golden shopper – i più orientati verso elementi valoriali, tangibili ed etici- e i Low Price i più attenti al prezzo e alle promozioni.