di Luigi Mariani pubblicato su Agrarian Sciences
Da mesi infuria una polemica sull’impiego per la difesa dalle malerbe del glyphosate, principio attivo del diserbante Roundup di Monsanto. Ad esempio articoli usciti negli ultimi anni come quello a firma di Elena Tebano (Corriere della Sera) e dal titolo “Glifosato: il diserbante che ti trovi nel piatto, dalla frutta alla verdura – Dal cavolfiore ai pompelmi: trovate tracce della sostanza chimica che l’Oms ha definito «probabilmente cancerogena»”. In esso si scrive fra l’altro che “In Italia 32 associazioni dal Fai, al Wwf, a Legambiente, a Greenpeace, a Italia Nostra, hanno firmato un appello che chiede di bandirlo totalmente e di «rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e di escludere le aziende che ne fanno uso da qualsiasi premio nell’ambito dei Programmi regionali per lo sviluppo rurale (Psr)»”.
La proibizione dell’uso del glyphosate avrebbe oggi conseguenze negative per molti produttori agricoli che si vedrebbero privati di un prodotto a basso costo, molto efficace e versatile e che trova impiego in una vasta gamma di colture (erbacee ed arboree) e di situazioni agronomiche (presemina, pre-raccolta, ecc.) Per farsi un’idea dei settori d’impiego si veda ad esempio il documento di Monsanto “The agronomic benefits of glyphosate in Europe”.
Pertanto è necessario che ogni decisione in merito al destino di glyphosate sia assunta su base razionale. Da questo punto di vista occorre dire che le indagini fin qui svolte dalla European Food Security Agency (EFSA) hanno evidenziato che:
- il glyphosate non desta problemi di tossicità acuta alle dosi a cui è reperibile in prodotti alimentari e nelle acque
- è improbabile che il Glyphosate sia cancerogeno.
Da ciò deriva che la messa al bando della molecola sarebbe oggi arbitraria e ispirata da motivi ideologici che da tempo muovono le campagne mediatiche contro tale prodotto e contro la Monsanto. Tali aspetti saranno approfonditi nel seguito dell’articolo.
Scrivo queste note in qualità di agronomo spinto anche dal fatto che sui grandi media a parlare di tali vicende siano chiamati esponenti di tutte le categorie tranne coloro che sono a tutti gli effetti i “medici delle piante”. E’ questa una situazione che mi lascia da tempo perplesso anche perché non potrebbe in alcun caso verificarsi se il problema riguardasse la medicina umana.
Fitoiatria e fitofarmaci
La parola farmaco deriva dal greco pharmakon, che vuol dire veleno. Ma cosa distingue il farmaco dal veleno? Già alcuni secoli orsono Paracelso (1493-1541) rispose scrivendo che “Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.“
Queste riflessioni sorgono spontanee nell’agronomo quando considera da un lato i farmaci usati per gli umani e gli animali e dall’altro i farmaci delle piante, i cosiddetti fitofarmaci, che demagogicamente sono oggi dai più chiamati “pesticidi”.
Chi usa il farmaco in medicina umana o animale lo usa in funzione dei benefici che esso può dare. Lo stesso vale per chi usa il fitofarmaco contro i nemici delle piante (insetti, funghi, batteri, malerbe, acari, ecc.). Peccato che quanto appare del tutto naturale in medicina umana o veterinaria (chi negherebbe infatti una medicina prescritta da un medico ad un malato, uomo o animale che sia) venga invece sempre più spesso letto dall’uomo della strada come qualcosa di totalmente innaturale nel caso delle piante, le quali secondo idee oggi sempre più diffuse dovrebbero in qualche modo “difendersi da sole”. Su tale aspetto ricordo che piante in buono stato vegetativo (analogamente a quanto accade per le persone ben alimentate e in buono stato fisico) sono meno sensibili alle malattie ma ciò non significa che non vi siano casi in cui la malattia insorge e si debbono metter in atto adeguate contromisure.
Per fare un esempio pratico, nessuno si sogna oggi di vietare l’aspirina, che ha una tossicità acuta pari a 17 volte quella del Glyphosate (la DL50, che sarà definita più avanti nel testo, è infatti di 250 mg/kg di peso corporeo per aspirina contro i 4320 mg/kg per glyphosate).
Ricordo anche che per farmaci e fitofarmaci il sottodosaggio (utilizzo a dosi inferiori a quelle prescritte dallo specialista) è dannoso, da un lato perché non risolve la patologia e dall’altro perché favorisce l’insorgere di forme resistenti del patogeno. Altresì dannoso è il sovradosaggio che nel caso dei fitofarmaci va contro l’interesse del produttore sia in termini ambientali e salutistici sia in quanto i fitofarmaci hanno un costo non indifferente. La morale è che un agricoltore coscienzioso e non sprovveduto evita l’impiego di dosi eccessive o troppo basse.
Il fatto che concetti all’apparenza tanto semplici non facciano in alcun modo presa sulla pubblica opinione è almeno in parte frutto di una campagna di disinformazione di massa che prosegue da decenni e che a ben vedere affonda le proprie radici in un odio inveterato per la chimica, disciplina scientifica bellissima e che moltissimo ha fatto per la salute e la sicurezza alimentare del genere umano.
Difesa dalle malerbe e diserbanti – La difesa dalle malerbe è oggi una necessità se vogliamo garantire la sicurezza alimentare a livello globale. Ciò perché in assenza di difesa le perdite produttive globali sulle grandi colture che nutrono il mondo raggiungerebbero livelli insostenibili sia in termini di reddito per il produttore sia di sicurezza alimentare globale. E’ per tali ragioni che se per un cittadino un campo di frumento infestato dai papaveri è solo una gradevole nota di colore in un paesaggio, per un agricoltore si tratta invece di una sciagura. La difesa si affida oggi soprattutto a mezzi meccanici (macchine sarchiatrici) o chimici (diserbanti). Anche se la chimica non è un obbligo, occorre dire che la difesa dalle malerbe con mezzi meccanici è possibile in colture quali mais, girasole, barbabietola e patata ma non in colture quali il riso, frumento, orzo, segale o colza.
Il mezzo chimico si è pertanto imposto da decenni per la sua praticità e per il basso costo. Si pensi ad esempio al caso del riso, in cui prima del diserbo chimico si usava fare la monda a mano con personale soprattutto femminile, le mondine, e si impiegava un totale di circa 400 ore di lavoro per ettaro l’anno contro le 2 ore oggi necessarie per il diserbo chimico. Anche trascurando i costi sociali (pesanti effetti negativi sulla salute delle mondine) quanto costerebbe oggi un riso prodotto in quel modo?
Il glyphosate: caratteristiche – Il glyphosate si caratterizza per elevata versatilità ed efficacia e costo contenuto. Si tratta inoltre di un diserbante non selettivo (colpisce tutte le piante superiori) e sistemico, nel senso che una volta assorbito dalle foglie viene trasportato in prevalenza attraverso il floema (linfa elaborata) raggiungendo i fusti e le radici e uccidendo le piante infestanti. Inoltre è un diserbante non residuale nel senso che lascia scarsi residui nel suolo in quanto è rapidamente degradato dalla microflora del terreno. Per tale motivo, dopo aver trattato con glyphosate, si può dopo breve tempo seminare la coltura successiva. In tal senso il glyphosate viene spesso utilizzato quando si fa semina su sodo di cereali, pratica che rientra fra quelle di agricoltura conservativa, oggi considerate benefiche per l’ambiente.
Si noti anche che con l’introduzione degli OGM si sono prodotte varietà tolleranti al glyphosate, per cui (ovviamente non in Europa) è possibile usare tale erbicida su queste piante anche in presenza della coltura. Fra le colture per le quali esistono varietà tolleranti al glyphosate abbiamo oggi mais, soia, bietola, cotone, erba medica, ecc. (un elenco completo si trova qui).
Il glyphosate è in uso da oltre 40 anni e i suoi vantaggi sono tali e tanti da imporre che ogni decisione in merito al suo futuro impiego sia assunta a seguito di dati il più possibile certi in tema di tossicità e cancerogenicità, e mi accorgo qui di scrivere le stesse cose che scriverei se si dovesse discutere della messa al bando dell’acido acetilsalicilico, principio attivo dell’Aspirina.
La tossicità – La tossicità acuta (qui) di un fitofarmaco si valuta considerando la DL50 e cioè la dose che provoca la morte del 50% degli individui che assumono la sostanza in esame. A tossicità acuta elevata (classe 1) sono considerati i prodotti con DL50 inferiore a 50 mg per kg di peso vivo, a tossicità moderata (classe 2) i prodotti con DL50 fra 50 e 500, a tossicità lieve (classe 3) quelli con DL50 fra 500 e 5000 e innocui (classe 4) quelli con DL50 di oltre 5000 mg. Il glyphosate si colloca in classe 3 mentre in classe 2 ritroviamo ad esempio caffeina, aspirina e cloruro di sodo e in classe 1 la vitamina D3.
Un ulteriore concetto rispetto a quello di DL50 è quello di dose limite giornaliera (espressa in mg per kg di peso dell’organismo considerato) definibile come quantità massima di erbicida che può essere consumata giornalmente senza causare danni. In base a tale concetto il contenuto in glyphosate di un alimento o bevanda dovrebbe essere correttamente valutato utilizzando come unità di misura i milligrammi di glyphosate per kg di peso corporeo assumibili al giorno. In tal senso EFSA , operando in termini molto prudenziali, ha fissato una dose limite giornaliera di 0.5 mg per kg di peso per giorno) [1].
Questi i dati con cui confrontarci. Spiace invece costatare che anche di recente i media hanno indagato il problema dei residui di Glyphosate presenti nelle birre tedesche (compresi fra 0.46 a 29.74 microgrammi per litro) assumendo come pietra di paragone non la dose limite giornaliera ma il quantitativo limite nell’acqua potabile ammesso per il glyphosate dall’UE e che è pari a 0.1 microgrammi per litro[1].
Utilizzando invece il metodo della dose limite giornaliera ci si accorge che per raggiungere la dose limite di 0.5 mg indicata da EFSA, un adulto che pesa 80 kg dovrebbe assumere 80 x 0.5 = 40 mg di glyphosate, il che nel caso della birra tedesca con residuo più elevato (29.74 microgrammi per litro) equivarrebbe a bere la stratosferica quantità di 40 mg / (0.02974 mg l-1) = 1345 litri di birra.
A risultati analoghi giungono valutazioni condotte con riferimento:
- ai residui presenti su frutta e verdure: per raggiungere i valori soglia fissati da EFSA, un adulto che pesa 80 kg dovrebbe assumere giornalmente 400 kg di frutta e verdura.
- all’acqua potabile stessa, in quanto ipotizzando la presenza di 0.1 microgrammi per litro il quantitativo ove per raggiungere la dose limite di 0.5 mg per kg un adulto che pesa 80 kg dovrebbe bere l’iperbolico quantitativo di 400 mila litri.
Il dato per l’acqua potabile porta peraltro alla conclusione che i limiti fissati dall’Unione Europea non siano stati stabiliti su base tossicologica (come negli USA, ove l’autorevole EPA ha definito un limite di 0,7 mg di glyphosate per litro) ma siano stati viceversa definiti “a capocchia” come Donatello Sandroni sostiene nel suo bell’articolo “Allarmismo a tutta birra”. Sarebbe logico dunque attendersi che i limiti per le acque potabili venissero rivisti alla luce della reale tossicità delle diverse sostanze, anche per evitare l’uso demagogico sopra descritto nel caso delle birre tedesche.
In sostanza l’impressione che si ricava dai dati sopra riportati è che con riferimento alla tossicità di Glyphosate si stia facendo allarme sul nulla, contribuendo ancora una volta a creare nell’opinione pubblica un atteggiamento di diffidenza e di insicurezza nei confronti dei prodotti alimentari. Peraltro il timore per il futuro è che l’ affinamento dei metodi analitici porti sempre più verso atteggiamenti allarmistici basati sul ritrovamento di poche molecole, che è possibile per una vastissima gamma di prodotti anche estremamente tossici, in quanto in natura il residuo 0 non esiste.
La cancerogenicità – Su tale tema la campagna contro il Glyphosate si è aperta a seguito del pronunciamento dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) la quale, a seguito di un processo di review sulla letteratura scientifica fin qui prodotta, ha recentemente inserito il Glyphosate nella lista dei probabili cancerogeni umani, analogamente a quanto accaduto ad esempio per le carni rosse. A questa decisione di IARC si è tuttavia contrapposto il pronunciamento dell’EFSA, la quale a seguito di un analogo processo di review ha invece affermato che è “improbabile che il Glyphosate possa causare il cancro”[2]. Al riguardo si noti che, a differenza di IARC, l’EFSA ha posto al centro della sua riflessione la questione delle dosi, nel senso che la dose ricevuta da ratti alimentati con sondino gastrico da cui un numero limitato di studi ha dedotto la cancerogenicità del glyphosate sono di molto superiori a quelle a cui può risultare esposto un essere umano.
Conclusioni – In sintesi dunque i dubbi sollevati in merito alla tossicità o cancerogenicità del Glyphosate non reggono per il momento alla verifica sperimentale, senza la quale “ogni convinzione è cosa vana”. Da ciò si deduce che non sussistono ad oggi pericoli concreti per la salute umana in termini di tossicità e cancerogenicità e che di conseguenza la messa al bando di questo fitofarmaco non sarebbe al momento basata su motivi razionali ma obbedirebbe invece a ragioni di tipo ideologico che si richiamano all’avversione per l’agricoltura tecnologica e più in generale per l’uso della chimica in agricoltura.
[1] Riportiamo qui di seguito per esteso come EFSA è giunta a definire tale dose limite giornaliera: “The acceptable daily intake (ADI) of glyphosate is 0.5 mg/kg bw per day, based on the maternal and developmental NOAEL (no observed adverse effect level) of 50 mg/kg bw per day from the developmental toxicity study in rabbits and applying a standard uncertainty factor (UF) of 100. The previous EU evaluation had set an ADI of 0.3 mg/kg bw per day based on the four long term toxicity studies in rats that were available at that time. In line with the former regulatory practice, NOELs instead of NOAELs were used. An overall NOEL of 30 mg/kg bw per day was established. One of these studies has been found to no longer meet the current testing guideline criteria due to the low doses tested (the NOEL is the highest dose tested in this study) and in the current evaluation, an overall long term NOAEL of 100 mg/kg bw per day is based on six valid combined long term toxicity/carcinogenicity studies in rats. The acute reference dose (ARfD) is 0.5 mg/kg bw, based on the same NOAEL of 50 mg/kg bw per day as the ADI (from the developmental toxicity in rabbits) due to the occurrence of severe toxicity including mortality observed in pregnant does and the increased incidences of post-implantation losses observed in two of the seven developmental toxicity studies in rabbits, applying an UF (uncertainty factor) of 100. An ARfD had not been allocated in the previous EU evaluation” ( qui).
[2] Questa è la frase completa che si trova nell’absract del conclusion di EFSA: “Following a second mandate from the European Commission to consider the findings from the International Agency for Research on Cancer (IARC) regarding the potential carcinogenicity of glyphosate or glyphosate-containing plant protection products in the on-going peer review of the active substance, EFSA concluded that glyphosate is unlikely to pose a carcinogenic hazard to humans and the evidence does not support classification with regard to its carcinogenic potential according to Regulation (EC) No 1272/2008”. ( qui)
Approfondimenti citati nel testo
Un approccio ai concetti base di tossicologia si trova nello scritto: University of Nebraska, Lincoln, 2003. Toxicology and exposure guidelines, 28 pp. (http://ehs.unl.edu/documents/tox_exposure_guidelines.pdf)
Le conclusioni dell’EFSA in merito a tossicità e cancerogenicità di Glyphosate si trovano qui: EFSA, 2015. Conclusion on the peer review of the pesticide risk assessment of the active substance glyphosate, On request from the European Commission, Question No EFSA-Q-2014-00546 and EFSA-Q-2015-00279, approved on 30 October 2015, EFSA Journal 2015;13(11):4302 (http://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4302.pdf)
Una sintesi divulgativa delle attività di analisi di rischio svolte da EFSA in merito a Glyphosate si trova qui: EFSA, 2016. EFSA explains risk assessment – Glyphosate (http://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/efsaexplainsglyphosate151112en_1.pdf)
Un approccio divulgativo al problema è offerto dai seguenti articoli: Tebano E., 2016. “Glifosato: il diserbante che ti trovi nel piatto, dalla frutta alla verdura – Dal cavolfiore ai pompelmi: trovate tracce della sostanza chimica che l’Oms ha definito «probabilmente cancerogena»”, Corriere della sera, 28 febbraio 2016 (http://www.corriere.it/salute/16_febbraio_28/glifosato-diserbante-che-ti-trovi-piatto-frutta-verdura-4f93f7fc-de5d-11e5-8660-2dd950039afc.shtml)
Sandroni D., 2016. Glifosate: è scontro perpetuo (http://agronotizie.imagelinenetwork.com/difesa-e-diserbo/2015/12/14/glifosate-e-scontro-perpetuo/46685)
Sandroni D., 2016. Allarmismo a tutta birra, (http://agronotizie.imagelinenetwork.com/difesa-e-diserbo/2016/02/29/allarmismo-a-tutta-birra/47705)
Guidorzi, 2016. “L’affaire Gliphosate”, la cronistoria. Quando è iniziato il tutto? (http://www.salmone.org/iarc-efsa-e-glifosato/).
Ross G., 2015. IARC’s Ruling On Glyphosate Ignores the Science, http://acsh.org/news/2015/03/23/iarcs-ruling-on-glyphosate-ignores-the-science/
ACSH, 2015. Glyphosate Safe To EFSA, Despite IARC’s Finding http://acsh.org/news/2015/11/17/glyphosate-safe-despite-iarcs-dubious-assertions/
Docente di Storia dell’ Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura di Sant’Angelo Lodigiano. E’ stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.