“Iniziative singole creerebbero solo problemi ma tutti insieme possiamo affrontare questo mercato, il più importante sullo scacchiere mondiale”, così Antonino Peres, commercial advisor della Camera di Commercio Italo-Cinese, che ha partecipato al “Progetto Siena-Cina” seminario organizzato dalla Provincia di Siena, ci illustra le prospettive e le possibilità che l’agroalimentare “made in Italy” può e potrà avere nel mercato cinese. Il settore agroalimentare cinese è in grande fermento, e per quel che riguarda la bilancia commerciale italiana i dati sono contrastanti ma molti settori sono in forte crescita.
Quali sono i settori da tenere sotto osservazione?
Quello dell’olio d’oliva, ad esempio, anche se rimane un mercato di nicchia. Il problema è che i cinesi per il momento sono abituati ad utilizzare un olio meno forte, non hanno certo un’abitudine alimentare tale da apprezzare e riconoscere le caratteristiche di un olio toscano o pugliese. E’ chiaro, d’altra parte, che anche la produzione italiana non può cambiare la propria natura per andare incontro ai gusti cinesi. E’ auspicabile, quindi, puntare sulla promozione dell’olio d’oliva italiano per l’impiego alimentare (come condimento per piatti di pesce, verdure, etc.), sia puntare anche sull’aspetto salutistico dell’alimento, come è stato recentemente dimostrato. Comunque il consumo dell’olio italiano è in forte crescita. Già nell‘ultimo anno, infatti, la spesa per l’olio d’oliva italiano è quadruplicata, passando da 200mila euro del 2003 agli oltre 800mila del 2004.
E per uno dei testimonial più importanti dell’agroalimentare italiano, come il vino?
C’è da registrare una grande crescita anche per i vini da tavola, e fanno parte di questa categoria tutti i vini che si consumano in tavola (in bottiglia). Il miglior vino prodotto in Cina, infatti, è paragonabile ad un nostro vino di bassa qualità. Ed anche in questo caso il consumatore cinese non è in grado di valorizzare le differenze e le qualità dei diversi vini italiani. L’export del vino italiano, continua però nel trend di crescita: oltre 2milioni di euro nel 2004, contro il milione e mezzo di euro del 2002. Da sottolineare inoltre che in Italia abbiamo anche un’importazione di vino cinese.
La realtà di altre produzioni, i derivati dal latte?
Grazie ad una politica cinese sempre più nutrizionista c’è una forte crescita di questi prodotti. Un’export quasi inesistente nel 2002, è arrivato a circa 100mila euro di valore nel 2003 e quasi 400mila nel 2004. Molto alto è anche l’import (per un valore di 600mila euro nel 2002) seppur calante (circa 380mila nel 2004) e strettamente legato alla Caseina.
Riassumendo, quale è la situazione di mercato?
Partiamo dal fatto che i cinesi stanno riscoprendo il vino, il cui target ottimale sono le persone giovani, che avendo vissuto all’estero hanno scoperto i piaceri dela cucina italiana. Inoltre i dazi scendono costantemente e i prodotti sono acquistabili da fasce più larghe di popolazione”. Uno sguardo ai dazi nell’agroalimentare: 27,2% per i formaggi, 27% il prosciutto, 21,2% il lardo, 20% vino sfuso, 19% salsicce, 14% vino imbottigliato, 13,2% olio d’oliva.
Quale è la procedura per esportare prodotti alimentari in Cina?
L’importatore cinese deve ottenere una licenza specifica. Ad esempio per il prosciutto di Parma l’importatore deve avere la licenza per il prosciutto xyz e non per un prosciutto di Parma qualsiasi. Bisogna poi chiedere all’Inspection Bureau cinese l’autorizzazione sanitaria all’importazione presentando dei campioni. Generalmente 8 pezzi da 1kg con i certificati sanitari italiani. Ottenuta l’autorizzazione sanitaria si può spedire la merce con tutti i documenti e i certificati sanitari richiesti, firmati dall’ente italiano sanitario autorizzato. Arrivata la merce in Cina questa deve essere lasciata in magazzini frigoriferi atti alla sua conservazione.
E per il vino…
La procedura è la stessa, escludendo il magazzino frigorifero e in più su ogni bottiglia va applicata un’etichetta in cinese che riporta, produttore ed importatore e il bollino della comsumption tax.
Quali sono i problemi maggiori che devono affrontare le nostre aziende?
Il primo è che non esiste una grande distribuzione italiana. Per il vino ci sono pochi importatori e distributori che possono supportare solo un certo numero di marche. Inoltre ci sono da affrontare alti costi per le pratiche burocratiche, conviene insomma solo a chi non effettua operazioni spot. Il mercato è in forte crescita ma il fatturato è ancora limitato.
In conclusione. La Cina è oggi un rischio, un ostacolo, un competitor o che cosa?
La Cina oggi molto più di ieri è una possibilità per le imprese che sapranno affrontare nel giusto modo il mercato, guidate opportunamente. Ci sono gli strumenti. Dobbiamo essere uniti: affrontiamo la Cina in modo unito, sinergico, dobbiamo essere convinti che più siamo compatti più possiamo conquistare fette di mercato che altrimenti sarebbero impossibili. Ritengo che si debba fare un sistema d’immagine, dobbiamo affrontare il mercato promuovendo il prodotto nel suo insieme e non in modo frammentato. Insomma “il vino italiano”, o l’intero Chianti Classico, non il singolo produttore.