Dall’obbligo di indicare nelle confezioni il luogo di provenienza o mungitura del latte fresco commercializzato può venire una importante spinta alla ripresa dei consumi di un alimento indispensabile alla salute che se consumato fresco garantisce migliori caratteristiche organolettiche, nutrizionali, di genuinità ed ora anche di trasparenza dell’informazione ai consumatori. Ma attenzione al latte a Uht a lunga conservazione per il quale l’obbligo ancora non sussiste. Il latte pastorizzato fresco arriva crudo allo stabilimento di confezionamento e viene sottoposto a un solo trattamento termico entro 48 ore dalla mungitura mentre il latte UHT a lunga conservazione subisce un trattamento termico di sterilizzazione in flusso continuo seguito dal confezionamento asettico. Una differenziazione di processo che oltre a rendere più probabile l’utilizzazione di latte importato per il confezionamento a lunga conservazione (non essendoci il vincolo delle 24 ore dalla mungitura c’è piu’ tempo per il trasporto dall’estero) influenza e differenzia notevolmente le proprietà dei due prodotti. Sul totale di 23 milioni di quintali di latte ad uso alimentare consumati in Italia circa il 60% è rappresentato da quello a lunga conservazione (13,5 milioni di quintali) mentre solo il 40% (9,5 milioni di quintali) è latte fresco. Una situazione che potrebbe cambiare anche grazie alle nuove norme sulla etichettatura del latte fresco che ne garantiscono una maggiore rintracciabilità dopo che era già entrato in vigore il decreto che ha allungato al sesto giorno successivo a quello del trattamento termico la data di scadenza, facendolo rientrare nella tradizionale spesa settimanale familiare. Il "vantaggio" del latte a lunga conservazione è infatti per molti indicato in una durata pari a 90 giorni dalla data di confezionamento. I diversi tipi di latte possono essere distinti anche in base al contenuto in materia grassa e se il latte intero ha un tenore naturale in materia grassa non inferiore al 3,50%, in quello parzialmente scremato il tenore in materia grassa è stato portato, tramite scrematura all’1,5%-1,8%, mentre in quello scremato esso è a un tasso massimo dello 0,3%. « L’Italia – sostiene Coldiretti – dopo il primato conquistato con il latte fresco, ha l’opportunità di porsi all’avanguardia a livello europeo con l’applicazione della legge 3 agosto 2004, n.204 che prevede appunto l’obbligo di indicare sulle etichette l’origine di tutti gli alimenti commercializzati e consente di valorizzare i primati qualitativi e di sicurezza della produzione nazionale. Una etichetta trasparente checontribuirebbe a fare chiarezza su tutto il latte commercializzato in Italia dopo che nel 2004 che sono salite a 17 milioni di quintali le importazioni di latte sfuso destinato ad essere lavorato e trasformato in formaggi, yogurt e latte alimentare "Made in Italy" tanto che si stima che fino ad oggi una busta su tre sia stata confezionata in Italia, ma conteneva in realtà prodotto importato dall’estero senza alcuna informazione per i consumatori».
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