“Dobbiamo salvare il kiwi italiano dalla Moria: siamo il secondo produttore mondiale, con 25.875 ettari di superficie coltivati con oltre 500mila tonnellate prodotte, di cui 9.493 ettari e oltre 200mila tonnellate nella sola regione Lazio.
In seno al Comitato fitosanitario si è deciso di avviare uno specifico gruppo di lavoro che vedrà la partecipazione dei territori interessati, dove verrà seguito il modello di lavoro già sperimentato per affrontare il problema della cimice asiatica. A tal fine la ricerca giocherà un ruolo determinante per la soluzione della questione”.
Così il sottosegretario alle Politiche agricole Giuseppe L’Abbate ha sottolineato l’importanza della ricerca nell’audizione di oggi alla Regione Lazio, che lo ha visto coinvolto insieme al CREA e dedicata alla Moria del kiwi. Si tratta di una nuova fitopatia dopo la Batteriosi che, negli anni scorsi, ha già messo a dura prova la tenuta del settore. Si manifesta durante l’estate ed è caratterizzata da un decorso rapidissimo e letale: nel giro di qualche giorno o – nella migliore delle ipotesi – di qualche settimana, le piante, sia quelle di varietà a polpa verde che quelle a polpa gialla, avvizziscono completamente, l’apparato radicale appare ridotto e marcescente.
In realtà, la moria è comparsa in Veneto nel 2012, per poi interessare successivamente il Piemonte, il Friuli, l’Emilia Romagna ed infine, da un paio d’anni, il Lazio, primo produttore italiano. Complessivamente sono già stati colpiti circa 8.000 ettari di impianti, per una perdita stimata di circa 750 milioni di produzione lorda vendibile complessiva, cifra che va raddoppiata considerando tutto l’indotto commerciale.
Una patologia difficile da arrestare perché multifattoriale, determinata cioè da molteplici cause che concorrono tutte al deperimento della pianta: l’elevata piovosità concentrata in poche ore (bombe d’acqua), il compattamento del suolo, tecniche irrigue non appropriate ed un insieme di patogeni (funghi e batteri) che provocano i marciumi dell’apparato radicale in un ambiente asfittico.
Nella speranza che la task force appena costituita in seno al Comitato Fitosanitario Nazionale possa trovare nel tempo una soluzione alla morìa, il sottosegretario Giuseppe L’Abbate ha rassicurato che il “Ministero delle Politiche agricole si attiverà per valutare i danni stimati in campo e per cercare di sostenere le imprese maggiormente colpite, anche in considerazione dell’impossibilità di potersi assicurare”.
Il CREA si è già attivamente impegnato con i suoi Centri di ricerca di Olivicoltura, Frutticoltura ed Agrumicoltura, di Genomica e Bioinformatica, di Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari.
Sono state intraprese sperimentazioni di pieno campo volte ad ottimizzare alcune tecniche agronomiche per la riduzione dei ristagni nel terreno, la gestione dell’irrigazione per ridurre l’apporto di acqua nel suolo, la validità di alcuni portinnesti nel contenere il fenomeno, il ruolo di funghi e batteri anaerobi nel causare sintomi di deperimento delle piante. Tuttavia, le precise relazioni che intercorrono tra i parametri ambientali e quelli biotici (funghi e batteri) sono ancora, in gran parte, sconosciute e necessitano di studi approfonditi.
Tali esperienze vanno ulteriormente approfondite ed inserite in un piano progettuale che preveda di chiarire quali siano le varie relazioni che intercorrono tra i singoli parametri per avere un quadro esaustivo da cui poter elaborare soluzioni efficaci.