ROMA – Una volta c’era il riso venduto sfuso in grandi sacchi di iuta, la cui funzione era semplicemente quella di fornire un contributo calorico.
Oggi ci sono tante varietà di riso, oltre 140 quelle censite dall’Ente Nazionale Risi, ciascuna con la sua particolare origine, tecnica di coltivazione, processo di lavorazione e adatta un diverso tipo di preparazione culinaria.
Gli ultimi 100 anni di storia del riso raccontano la sua evoluzione da commodity ad alimento di pregio, al pari di altri prodotti simbolo della dieta mediterranea come l’olio d’oliva e il vino. Un’evoluzione che riflette non solo il miglioramento qualitativo e l’affinamento delle tecniche produttive ma soprattutto lo sviluppo sociale ed economico dell’Italia, l’attribuzione di nuovi e più complessi significati al cibo e che trova una sua vivida rappresentazione nel linguaggio pubblicitario, dai primi manifesti degli anni 20 fino agli spot dei giorni nostri.
A parlare sono le pubblicità d’epoca raccolte dall’Ente Nazionale Risi e pubblicate all’interno della monografia “Il Riso” di Coltura & Cultura, in un capitolo dedicato proprio alla comunicazione di prodotto.
I primi investimenti in pubblicità, si legge nel volume, risalgono al periodo fascista, quando, durante l’autarchia, questo prodotto diventa strategico: il regime istituisce l’Ente Nazionale Risi per gestirne la produzione e il commercio, e la comunicazione degli anni ’30-’40 reca una chiara impronta politica. Negli anni delle sanzioni, per stimolare il consumo di riso in un Paese che ha una scarsa familiarità con questo alimento, si ricorre al concetto di “tipicità”, in esplicita contrapposizione al prodotto d’importazione.
Gli altri motivi proposti all’attenzione del pubblico sono i richiami alla prestanza fisica, sfruttando l’immagine dei divi dello sport, dal ciclismo al calcio e ai valori della tradizione. Le campagne puntano a realizzare gli interessi corporativi, senza orientare il consumatore tra tipologie, origini regionali e, men che meno, marchi privati.
Nel secondo dopoguerra prosegue l’opera di promozione del riso nelle abitudini dei consumatori anche attraverso iniziative itineranti organizzate dall’Ente Risi. Cucine mobili, molto simili agli odierni food truck impiegati nello street food, attraversano il Paese per insegnare alle giovani massaie come si cucina un risotto. Anche in questo caso, al centro della comunicazione si staglia una commodity.
Il salto si compie con il miracolo economico.
Come in tutti i mercati più evoluti, una volta superato il problema dell’approvvigionamento alimentare, la comunicazione cambia per intercettare un consumatore più evoluto per cultura e potere d’acquisto. Negli anni ’50, l’immagine del riso veicolata dalla pubblicità ricalca ancora i temi usati dalla promozione istituzionale, come la tipicità nazionale e la salubrità, mentre la vera novità è rappresentata dalla diffusione di riso porzionato in sacchetti di carta e, poco dopo, in pacchetti in cartoncino. Da qui in avanti comincia ad affermarsi un concetto industriale di qualità e si fa strada la comunicazione di brand: l’immagine del prodotto esce rapidamente dall’orbita della propaganda istituzionale, che la legava a filo doppio all’origine rurale, per entrare in quella della pubblicità commerciale. L’obiettivo non è più conquistare il consumatore all’utilizzo del riso, ma spingerlo alla scelta di un determinato marchio di riso, che diviene garanzia del successo ai fornelli.
Da qui agli anni 80 il passo è breve
Siamo in pieno boom della pubblicità televisiva e l’industria scommette sul parboiled. Questa lavorazione, che permette al riso di tenere maggiormente la cottura e lo rende adatto a preparazioni fredde, viene utilizzata per rilanciare il consumo al centro sud. Negli anni ’80 e ’90 , attraverso le più diverse sperimentazioni, che culminano nei risotti pronti e nella pasta di riso, l’immagine di questo cereale è sempre più caratterizzata dal connubio qualità e tecnologia, per soddisfare le nuove esigenze dei consumatori attraverso un maggior contenuto di servizio.
Nel terzo millennio, infine, l’immagine del riso italiano è indissolubilmente legata al marchio di fabbrica, il cui packaging spesso conserva, opportunamente rinnovati, gli elementi principali di un secolo di comunicazione aziendale. Nel frattempo sulla spinta della globalizzazione dei mercati e del gusto, varietà orientali come il Basmati invadono gli scaffali della grande distribuzione organizzata.
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