Vendemmia o raccolta delle olive non fa differenza. Se sei un’azienda o un imprenditore agricolo e per la raccolta stagionale ti fai aiutare da un parente oltre il terzo grado o da un amico rischi una sanzione fino a 27mila euro a persona. E per la campagna di raccolta uva 2006 sono state un centinaio le ispezioni effettuate nelle aziende vitivinicole di tutta la Toscana con una percentuale di sanzioni di circa il 50 per cento. E’ quanto emerge dall’indagine di agricultura.it effettuata sul territorio regionale con particolare riferimento alle province a maggiore vocazione: Siena (18.490 ettari di superficie vitata; pari al 29,4% regionale); Firenze (18.150 ha; 28,8%) e Grosseto (7.400 ha; 11,8%). Le ispezioni a tappeto hanno riguardato alcune aree del senese (Val d’Orcia-Montalcino e Chianti); le campagne fiorentine (l’area empolese, Rufina e Chianti Classico) e il grossetano (area Morellino di Scansano e Pitigliano). La normativa in vigore dal 2003 rappresenta un passo in avanti rispetto al passato, quando non erano permesse prestazioni occasionali neppure per parenti stretti (es. primo grado: padre-figlio), ma per i controlli emergeva un maggiore “elasticità” nel comprendere il rapporto “amichevole” di collaborazione. L’impiego gratuito dei parenti e degli amici in queste attività non trova però pieno conforto nella normativa attuale.
I CONTROLLI E LE SANZIONI IN TOSCANA PER LA VENDEMMIA 2006 – Sono due gli organi pubblici preposti al controllo e alle eventuali sanzioni per quanto concerne le “campagne di raccolta” (ma non solo) in agricoltura: il DPL, direzione provinciale del lavoro (ex Ispettorato del lavoro) che opera tramite il servizio ispettivo, e l’INPS. I controlli possono avvenire dall’uno o dall’altro organo e anche contemporaneamente. Secondo le stime dei dati forniti dalle organizzazioni di categoria nelle tre province esaminate (Siena, Firenze e Grosseto) sono stati effettuati controlli a circa 60 aziende (ci sono aziende che non hanno comunicato il controllo) e circa la metà ha subìto sanzioni. Si tratta di aziende di medie e piccole dimensioni che, per la raccolta stagionale delle uve, hanno usufruito della manodopera di amici o di parenti ma non così stretti tanto da non subire delle sanzioni.
Testimonianza – "Abbiamo subìto un vero e proprio blitz poliziesco – hanno raccontato ad agricultura.it i protagonisti in negativo della vicenda di un’azienda senese –; nel vigneto sono entrati contemporaneamente sei ispettori facendo domande sul rapporto azienda-lavoratore o eventuali pagamenti in denaro". Insomma spesso una risposta pronta e disarmante potrebbe allontanare l’attenzione anche se, quando il controllo è in corso, se non si è in regola, è davvero difficile farla franca. Non mancano infatti controlli incrociati con parametri precisi: ettari di superficie vitata-resa-persone impiegate.
Buon senso – Probabilmente, come spesso avviene, una maggiore dose di “buon senso” porterebbe alla via di mezzo auspicata dalle aziende intervistate. Perchè che non posso farmi aiutare dall’amico in cambio soltanto di cinque litri di vino? No, non è proprio possibile senza un contratto di lavoro. Ecco allora scattare sanzioni davvero pesanti per le aziende, che sono responsabili per ognuno dei lavoratori impiegati fuori regola. Il recente decreto legge Visco-Bersani (DL del 4/7/2006) stabilisce sanzioni che vanno da 1500 a 12000 euro per ogni dipendente. A questo vanno sommati 150 euro per ogni giornata di lavoro a partire dalla data di inizio vendemmia, più una sanzione in misura forfettaria, più le ritenute fiscali e i contributi Inps. Inoltre la sanzione civile non può essere inferiore a 3000 euro. Di contro un operaio agricolo percepisce uno stipendio mensile di 930 euro lordi, mentre la paga giornaliera per le campagne di raccolta è di 6,61 euro (lordo). Così si sono registrate sanzioni che vanno da 27mila euro a persona a carico dell’azienda per 18 giorni di attività, fino a chi ha dovuto pagare 36mila di euro per tre lavoratori non regolari (nella maggior parte dei casi pensionati o amici) fino a multe più contenute di 500 euro per mancata consegna del registro di lavoro. Ma in nessuno dei casi, è bene specificarlo, si è trattato di lavoro nero.
COSA DICE LA NORMATIVA – La legge (“legge Biagi”) parla chiaro e definisce con una norma apposita il rapporto tra i titolari delle imprese agricole ed i propri familiari. La norma, in vigore dal 24 ottobre 2003, consente l’apporto di lavoro gratuito da parte dei parenti e degli affini dell’imprenditore agricolo, questo non per forza coltivatore diretto o Iap, entro il 3° grado. Le prestazioni occasionali esulano quindi dal mercato del lavoro non essendo riconducibili né al lavoro subordinato, tanto meno a quello autonomo. Prestazioni, quindi, che non fanno sorgere alcun obbligo contributivo. Ricordiamo che il lavoro dei parenti ed affini entro il 3° grado deve essere prestato rigorosamente a titolo gratuito, fatto salvo il diritto al vitto ed alloggio ed ai rimborsi spese. Una normativa questa che a suo tempo era stata fortemente voluta dalle organizzazioni di categoria
IL PARERE DEGLI ADDETTI AI LAVORI – Interpellato da agricultura.it sulla questione, Giordano Pascucci, presidente della Cia Toscana conferma che è necessario rafforzare le azioni di sensibilizzazione verso le aziende al rispetto delle norme, ma che i controlli devono andare nella stessa direzione; controlli in cui sarebbe necessaria, talvolta, una maggiore “duttilità” da parte degli organi ispettivi. "La norma attuale – commenta Pascucci – va nella giusta direzione, ma potrebbe essere ugualmente migliorata a vantaggio delle aziende. Qui non si tratta di coprire forme di lavoro irregolare, assolutamente. La Cia si è sempre battuta per un’agricoltura “pulita” e alla luce del sole. Dei miglioramenti sono possibili: specificare che si tratta di lavori tradizionali; prevedere che non sia sempre necessario instaurare un rapporto di lavoro, che si consenta all’imprenditore di assegnare ad un soggetto un corrispettivo che non abbia natura retributiva. A livello nazionale si sta da tempo sollecitando, insieme alle organizzazioni sindacali, un protocollo con il Governo per trovare soluzioni a forme di lavoro agricolo che tutelino aziende e lavoratori".
IL CASO “SPERIMENTALE” DI LUCCA – In alcune province d’Italia tra cui Lucca (l’unica in Toscana) si stanno sperimentando le prestazioni occasionali di tipo accessorio che riguardano, per la vendemmia, gli studenti ed i pensionati. Prestazioni che, quando saranno applicate a tutto il territorio nazionale potranno ulteriormente ampliare la platea dei soggetti impegnabili nelle attività di raccolta, peremettendo, almeno da questo punto di vista, “sonni tranquilli” agli imprenditori. Si tratta però di prestazioni onerose: non è prevista l’assunzione e l’erogazione dello stipendio avviene tramite appositi ticket (si ritira un blocchetto in agenzie o tabacchi) ed al termine del servizio, si riportano i ticket timbrati dall’azienda in cambio di denaro. Ogni ticket vale 7,5 euro, di cui 6 per il lavoratore occasionale (il resto diviso fra agenzia erogatrice, tasse, etc.)
RACCOLTA DELLE OLIVE – Anche la raccolta delle olive rientra appieno fra le cosiddette “campagne di raccolta tradizionali” e presenta alcune problematiche da sciogliere. Nelle campagne toscane, infatti, esiste l’antica usanza di trasformare un lavoro stagionale in una vera e propria festa rurale: la raccolta della olive finiva intorno ad un tavola imbandita di fronte al focolare. Ed il compenso era generalmente sotto forma di prodotto, il 50% di olio proveniente dalle olive raccolte. Con le norme attuali l’olio diventa una forma di remunerazione al pari del denaro. Come riconoscere allora il prodotto “reddito da lavoro” dal momento che il lavoratore (chi raccoglie) è completamente autonomo, nel senso che non è soggetto ad orari e giorni specifici? Inoltre, dal momento che molti raccoglitori sono pensionati ed un contratto di lavoro andrebbe ad “intaccare” la normale retribuzione pensionistica, anche la manodopera tradizionale diventa sempre più difficoltosa da reperire.