Lavoratori stranieri in agricoltura sono il 9,3%. Crea: crescita raddoppiata con ingresso in Ue di Romania e Bulgaria

ROMA  – All’inizio del nuovo secolo, la percentuale di lavoratori stranieri in agricoltura era ancora piuttosto contenuta, il 4,3% nel 2004 (Istat, Rilevazione delle Forze di lavoro), ma in lento aumento.

Con l’ingresso di Romania e Bulgaria il ritmo di crescita diventa sostenuto, nel 2010 la percentuale è già più che raddoppiata, arrivando al 9,2%, ma è ancora in linea con l’incidenza degli stranieri sul totale dell’occupazione italiana (9,3%). Dopo il 2008, invece, si assiste in agricoltura a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con cittadini stranieri che, nel 2020, arrivano a rappresentare il 18,5% del totale, ben al di sopra del loro peso sulla media dell’economia (10,2%).

Il rapporto presentato oggi dal CREA intende offrire una visione sintetica delle principali dinamiche caratterizzanti la presenza dei lavoratori stranieri nell’agricoltura italiana nel periodo 2000-2020, attraverso una rilettura delle informazioni raccolte nell’ambito dell’indagine realizzata dal Centro CREA Politiche e bioeconomia (fino al 2015, INEA-Istituto Nazionale di Economia Agraria).

L’indagine è realizzata da ricercatori e tecnologi del Centro, che lavorano nelle sedi regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano, integrando i dati statistici di fonte ufficiale (ISTAT e INPS) con notizie e informazioni ricavate da fonti locali, per esempio dai mass media e, soprattutto, interviste.

In termini assoluti il numero maggiore di occupati stranieri in agricoltura si concentra nel Mezzogiorno, ma in termini relativi incidono maggiormente nelle regioni del Centro.

L’occupazione degli stranieri è prevalentemente stagionale, infatti il rapporto tra le unità standard di lavoro (pari a 1800 ore di lavoro annue) e il numero di occupati, con le dovute differenze regionali, è mediamente inferiore a 100 (fig.4)

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