VERONA – È crisi profonda per le aziende del comparto lattiero-caseario, afflitte dal nuovo aumento dei costi di produzione a fronte di prezzi del latte ancora fermi al palo. Non sono arrivati, infatti, i tre centesimi in più che erano stati fissati dall’accordo di filiera di novembre, che aveva introdotto un “premio emergenza stalle” che consentiva di raggiungere il prezzo di 41 centesimi al litro.
Ieri un nuovo tavolo del latte, al ministero delle Politiche agricole, ha confermato l’aumento dei tre centesimi, con un’ulteriore integrazione di un centesimo riconosciuta dall’industria di trasformazione nel caso in cui non si raggiungesse la soglia massima di 41 centesimi. Restano da definire, però, gli aspetti operativi dell’accordo e anche la retroattività delle somme spettanti agli allevatori.
“Con l’accordo raggiunto tra le organizzazioni agricole, le cooperative, la grande industria e la grande distribuzione per la salvaguardia degli allevamenti italiani, valido fino al 31 marzo – spiega Sara Pasetto, presidente del comparto lattiero caseario di Confagricoltura Verona, – si era stabilito di dare agli allevatori tre centesimi al litro in più. Invece quei tre centesimi non li abbiamo ancora visti e nel frattempo, dal 1° gennaio, i costi dell’energia elettrica e del gas hanno segnato nuovi aumenti, mettendo in gravissima difficoltà le stalle del territorio scaligero. Anche altri costi importanti ne hanno risentito, come i mangimi, gravando su bilanci già zoppicanti. Neanche con i tre centesimi in più riusciremmo a far quadrare i conti, anche se senza, ovviamente, la situazione è ancora più drammatica”.
Paolo Ferrarese, vicepresidente di Confagricoltura Veneto e titolare di un importante allevamento nel Basso Veronese: “L’applicabilità del protocollo è da valutarsi – chiarisce -. Nel frattempo i costi di produzione sono saliti a 47 centesimi al litro e a noi il latte viene pagato 37-38. Quindi neanche i tre centesimi in più ci salverebbero. Inoltre l’accordo scadrà il 31 marzo e dopo cosa accadrà? Credo dunque che il punto vero sia quello di dare dei poteri concreti al tavolo permanente sulla filiera latte già insediato, che consentano finalmente l’incontro tra la domanda e l’offerta, in modo che si stabilisca un prezzo che tenga conto sia dei costi di produzione, sia delle dinamiche di mercato dei derivati industriali del latte. Deve trattarsi di un prezzo vincolante, da rivedere con una cadenza temporale prefissata, che dia al comparto una certezza su un prezzo che non avrà nulla di politico, ma risulti da quell’incontro domanda-offerta che già anni fa esisteva a livello regionale, dove il ministro possa svolgere il solo compito di garante. Per molti allevamenti questa sarà l’ultima possibilità per continuare ad esistere. In caso contrario la chiusura di stalle sarà massiccia, mettendo in risalto quanto gli animali sono necessari per l’equilibrio anche ambientale in ogni zona, ma ancor più in quelle marginali, come la montagna, dove non vi sono alternative agrarie. Si argomenta spesso di agricoltura circolare, biodiversità e risparmio di fertilizzanti chimici, ma sono tutte operazioni impossibili in assenza degli animali nelle nostre aziende”.
In Veneto sono circa 2.950 gli allevamenti di vacche da latte, con 1,2 milioni di tonnellate di latte munti ogni anno (dati 2020 di Veneto Agricoltura). Vicenza è in testa con 381.500 tonnellate, seguita da Verona (313.200), Padova (223.000), Treviso (160.800), Belluno (51.500), Venezia (47.760) e Rovigo (22.460). La trasformazione casearia in Veneto usa circa l’80% del latte prodotto e, in particolare, circa il 65% va ai formaggi dop. Il Grana Padano assorbe il 35% del latte regionale. Il lavoro non si è mai interrotto durante i difficili mesi del lockdown, mettendo sempre al primo posto la qualità del latte, la tutela dell’ambiente e il rispetto del benessere animale.