Materie prime cercasi. Deborah Piovan: ‘La possibilità di produrre di più c’è già, non aumenta le superfici ed è sostenibile. Si chiama Ogm’

ROMA – Con il conflitto in Ucraina, l’improvvisa necessità di produrre di più. Rischia il collasso la filiera zootecnica – per mancanza di materie prime per i mangimi -; l’olio di girasole si sta esaurendo; oltre alle produzioni per l’alimentazione umana. In questo contesto non sembra facile portare avanti la programmazione europea sulla sostenibilità. Ma ricerca e innovazione genetica possono dare delle risposte in questa direzione.

Ne abbiamo parlato con Deborah Piovan, imprenditrice agricola e divulgatrice.

Con il conflitto in Ucraina, è urgente l’esigenza di una maggiore produzione agricola in Europa. E’ pronta l’agricoltura italiana?

Il sistema produttivo agricolo italiano è disposto a rispondere alla sfida di aumentare la produzione: sono anni che mettiamo in guardia da situazioni di mercato come quelle che vediamo in queste settimane. Le politiche agricole attuate a livello nazionale ed europeo ci spingono da tempo verso una sempre minore produzione, in particolare dei prodotti che stanno ora vedendo rischi di carenze e quindi forti rincari. Mi riferisco soprattutto alle derrate: ci è stato detto che l’Italia non aveva bisogno di commodities, che dovevamo smettere di chiedere politiche per promuoverle; oggi ci accorgiamo che siamo pesantemente dipendenti dall’estero per questi prodotti.

Penso in particolare al mais: l’Italia era quasi autosufficiente per il proprio fabbisogno di mais fino a una decina d’anni fa, mentre oggi importa circa la metà di quello che le serve: 15% dall’Ucraina, 30% dall’Ungheria, che sta contingentando le proprie esportazioni; in misura minore importiamo da altri Paesi europei e dal Sud America (dati Centro Studi di Confagricoltura). La filiera zootecnica rischia il collasso perché l’industria mangimistica ha bisogno proprio di quelle commodities, insieme alle proteine vegetali provenienti soprattutto dalla soia, e ricordiamo che l’UE produce solo il 30% del proprio fabbisogno di proteine vegetali.

Altro prodotto che si sta esaurendo è l’olio di girasole: 88% (dati Commissione Europea) di quello che importa l’UE proviene dall’Ucraina. Eppure i produttori italiani si vedono riconosciuti prezzi bassissimi, ecco perché se ne produce sempre meno.

Ci siamo improvvisamente resi tutti conto che l’Italia mangia grazie all’import: solo il 36% del frumento tenero che ci serve è prodotto in Italia e solo il 56% del frumento duro. Del frumento tenero che importiamo in UE, il 44% proviene da Ucraina e Russia.

Analizzare qui oggi i fattori responsabili di questa destrutturazione è complesso, andrà comunque fatto per capire come porre rimedio. Però alcuni punti vanno evidenziati: tutte le politiche che hanno trascurato il settore dei seminativi privilegiando la produzione di merci a maggiore valore aggiunto, scoraggiando la coltivazione, disincentivando l’innovazione, cavalcando slogan che demonizzano l’agricoltura, spingendo verso pratiche a bassa produttività, sono comunque corresponsabili della situazione. E’ chiaro ormai che un Paese, l’UE stessa, non può pensare di dipendere così pesantemente dalle importazioni: ne va della sicurezza alimentare, le politiche agricole dovrebbero proteggerla differenziando gli approvvigionamenti e aumentando la quota di produzione interna europea dove possibile.

La Cina lo sa bene, probabilmente ricorda ancora cosa sia la fame: all’inizio degli anni ’60 decine di milioni di persone sono morte di fame in Cina a causa di politiche agricole clamorosamente errate. Infatti sta importando grandi quantità di cereali foraggeri e di mais; non credo sia perché, come qualcuno sostiene, sapeva che sarebbe scoppiata la guerra russa in Ucraina, ma piuttosto perché i suoi consumi continuano ad aumentare e non può coprirli solo con la produzione interna. Noi le scorte le abbiamo smantellate perché la fame l’abbiamo dimenticata e perché costavano. Il tutto mentre le scorte mondiali di cereali sono in calo per il quinto anno di fila.

Inoltre anche la filiera a monte dell’agricoltura sta vedendo forti rincari: negli ultimi 18 mesi l’urea è aumentata di due volte e mezzo, i concimi fosfatici sono raddoppiati, il gasolio agricolo costa il triplo di due anni fa. Macchine e attrezzature vedono aumenti dal 10 al 50%.

E’ vero che anche l’indice relativo al valore dei prodotti agricoli è aumentato mediamente del 50% negli ultimi due anni, ma queste tensioni sui prezzi a monte e a valle sono preoccupanti: sono segnali di instabilità.

Quindi, per rispondere alla domanda: sì, l’agricoltura italiana può rispondere all’esigenza di aumentare la produzione, a patto che ci si renda conto che è una sfida che coinvolge tutta la società. E’ giunta l’ora di chiedere a tanto marketing che ha vissuto spaventando i consumatori di smettere di demonizzare il nostro lavoro. Alla politica chiediamo invece di rivedere la strategia Farm to Fork, la nuova PAC e il Piano Strategico Nazionale, che puntano a ridurre ulteriormente la produzione togliendo strumenti di protezione delle colture e imponendo di lasciare incolti i terreni.

Possiamo quindi “accantonare” i concetti di sostenibilità – al centro delle politiche europee fino a due settimane fa – aumentando l’utilizzo di agrofarmaci?

Secondo dati FAO, ogni anno il 40% dei raccolti mondiali va perso a causa di insetti e malattie perché i raccolti non vengono adeguatamente protetti. Eppure questo può essere fatto in modo sostenibile per l’ambiente e le persone. Oggi sento colleghi che chiedono che si smetta di parlare di sostenibilità, data la crisi alimentare che rischiamo. Io invece penso che sia proprio questo il momento di dimostrare che il nostro lavoro è sostenibile davvero e che grazie alle innovazioni in campo digitale e biotecnologico l’intensificazione sostenibile è possibile, anzi doverosa.

Non dobbiamo dimenticare i problemi del cambiamento climatico solo perché ci troviamo dentro ad una emergenza che ci appare più grave: non piove da mesi, tanto per fare un esempio; l’anno scorso è stato molto secco anch’esso. Il clima sta cambiando e noi dobbiamo adeguarci: ogni strumento disponibile deve essere messo a disposizione degli agricoltori, che devono poter scegliere cosa serve loro nei vari contesti agronomici. Se l’uso razionale di agrofarmaci, unito a tecniche di difesa integrata e a quello del digitale, permette di proteggere i raccolti, significa che ci aiuta a sprecare meno risorse: terra, acqua, fattori di produzione; quindi protegge la conservazione della biodiversità.

Le persone che hanno paura degli agrofarmaci dovrebbero guardare le statistiche del Ministero della Salute sulla regolarità dei nostri alimenti; dovrebbero sapere come vengono fissati i limiti di sicurezza. Oggi ci viene chiesto di produrre in agricoltura biologica, ma io chiedo: perché? E’ forse più sostenibile per l’ambiente o è più sana? Molti studi dicono di no; anzi ha grossi problemi di sostenibilità a livello globale. Sono state fatte delle proiezioni sugli esiti dell’applicazione del Green Deal dal Joint Research Center europeo, dallo USDA, dalla prestigiosa Università di Wageningen: tutti concludono che il calo nell’uso di strumenti di protezione come gli agrofarmaci, di nutrizione delle piante come i fertilizzanti e la spinta verso l’agricoltura biologica porteranno a cali di produzione, aumenti dei prezzi, aumento della povertà.

Non è questa la strada per la sostenibilità: bisogna aprire all’innovazione.

Quali vantaggi potremmo già avere dall’innovazione nel miglioramento genetico vegetale?

Il miglioramento genetico vegetale esiste da quando l’uomo ha inventato l’agricoltura. Secondo alcune stime metà del progresso nelle rese è da attribuirsi ad esso. Abbiamo rinunciato per venticinque anni ai vantaggi degli OGM, mentre avremmo potuto beneficiare di piante resistenti ad insetti, come il mais Bt. Oggi esistono anche tecniche chiamate NGT, come per esempio la famosa CRISPR-Cas9, che permettono azioni di miglioramento mirate sul genoma della piante, rapide e poco costose: con questa tecnica ricercatori dell’Università di Milano hanno ottenuto riso resistente al brusone, ed è un carattere che si può facilmente trasferire nelle varietà desiderate. Ma la ricerca è stata frenata da un quadro normativo poco invitante: è senz’altro ora di aprire a queste tecniche. Basta una breve ricerca e si scopre che in tutto il mondo, Cina soprattutto, ci sono centinaia di pubblicazioni su piante migliorate con NGT, sia per caratteri di produttività, che per caratteri qualitativi, che per resistenza a malattie. Migliorare l’efficienza produttiva, razionalizzare il bisogno di agrofarmaci: sono strumenti irrinunciabili per migliorare la nostra sostenibilità.

Può essere questo il momento di riprendere in considerazione, senza preconcetti ideologici, l’utilizzo di ogm e biotecnologie?

Sono passati quasi trent’anni dalla messa in coltivazione di piante OGM: sono sicure, sono utili, non c’è più alcun dubbio. Con il mais OGM Bt potremmo produrre il 10-20% (dati A.M.I.) in più senza aumentare né la superficie né gli input ed eliminando i trattamenti insetticidi contro la piralide. Per non parlare della protezione dalla diabrotica.

Credo si possa ragionevolmente chiedere di superare vincoli obsoleti, anche perché importiamo ed utilizziamo milioni di quintali di OGM ogni anno. In generale, dovremmo riuscire a fare un salto di qualità nel nostro approccio alla questione e valutare i prodotti del miglioramento genetico per le loro caratteristiche e non per la tecnica utilizzata per ottenerli.

Dopotutto, non giudichiamo un libro dallo strumento usato per scriverlo, che sia penna a sfera o computer, sarebbe ridicolo. Lo giudichiamo invece per il suo contenuto.

Deborah Piovan – Laureata nel 1994 in Scienze Agrarie presso l’Università di Pisa, con diploma della Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa.

Lavora come imprenditrice agricola. Da più di vent’anni è impegnata in vari ruoli di rappresentanza nell’associazionismo agricolo (Confagricoltura). Si occupa di divulgazione delle tematiche relative all’innovazione nel settore agricolo, in particolare dell’accettazione da parte della società delle biotecnologie per il miglioramento genetico.

Membro del Consiglio dell’Associazione Luca Coscioni. Membro della Società Italiana di Genetica Agraria. Membro dell’Accademia dei Georgofili. Portavoce del manifesto Cibo per la Mente, www.ciboperlamente.eu fino a dicembre 2021. Presidente della Federazione Nazionale di prodotto proteoleaginose di Confagricoltura. Presidente dell’organizzazione produttori noci Nogalba. Speaker TEDxRovigo 2017 e 2021.

 

 

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