MILANO – Il professor Luca Bechini, è Presidente del Collegio Didattico del Corso di Laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il Territorio e del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Agroambientali dell’Università di Milano.
Professor Bechini, parlava di resilienza degli agroecosistemi già nel 1995 – ora resilienza è una parola usata ovunque, ma a quel tempo?
Durante il percorso universitario ho maturato una grande passione per i sistemi agricoli, e fin da giovane mi è sempre piaciuto molto studiare e imparare cose nuove. Ma ancor di più mi affascina l’attività di ricerca per avere un quadro d’insieme dei fenomeni.
Cosa significa?
Il bravo studioso è colui che riesce a creare un quadro di sintesi, a considerare più aspetti al tempo stesso. Prendi per esempio gli studi che stiamo conducendo sulla sostenibilità. Siamo chiamati a considerare non solo l’impatto ambientale di una produzione, ma ci sono anche tanti altri punti di vista da esplorare: l’effetto che le pratiche di coltivazione hanno sulle rese, sulla qualità dei prodotti, sul bilancio economico, sul bilancio dei nutrienti, sul destino ambientale dei prodotti fitosanitari, sulla fertilità dei suoli, e così via. Insomma, prima di classificare una produzione come sostenibile bisogna far bene i calcoli!
In fini dei conti un agricoltore è un imprenditore. Il ritorno economico deve esserci.
Esatto. La figura dell’agricoltore è cambiata molto nell’ultimo secolo. Pensa ai nostri nonni, e alle tecniche di coltivazione che si usavano in quel periodo. Ora il ruolo della tecnologia è molto più importante. Un futuro studente potrebbe immaginarsi l’agricoltura come un sistema produttivo basato su attrezzature molto semplici e usate da molto tempo.
Però noi, al DiSAA, usiamo i droni, i satelliti, le biotecnologie e l’intelligenza artificiale.
Forse è un aspetto che vale la pena approfondire.
Vedi, con una popolazione mondiale in crescita, da un lato si può lavorare sulle diete, decidere di avere un’alimentazione più efficiente, per esempio aumentando il consumo degli alimenti di origine vegetale, scenario proposto da alcuni per ridurre la necessità di superfici coltivabili e di produzione agricola. L’altro scenario è quello di produrre di più per unità di superficie, in maniera più intelligente e più efficiente.
Quindi la qualifica “smart” si può dare anche all’agricoltura?
Certamente! Possiamo infatti parlare di agricoltura di precisione. Per questo, la tecnologia avanzata ha un ruolo chiave nei nostri studi. Parliamo ad esempio di concimazione di precisione, pratica che apporta la giusta quantità di nutrienti, al momento giusto, al posto giusto.
Come fate questo calcolo?
Prendiamo come esempio l’azoto, nutriente essenziale per le colture, in quanto contribuisce a sostenere la crescita delle piante. Con i nostri studi otteniamo mappe sulla qualità del terreno e definiamo lo stato della vegetazione in tempo reale per decidere in ogni zona del campo qual è la dose più adatta di nutrienti da apportare, anche verificando le produzioni ottenute negli anni precedenti. E per fare questo adoperiamo tecnologie di tutti i tipi! I droni per esempio ci consentono di avere immagini aeree dell’appezzamento in tempo reale, fondamentali per capire come sta la coltura, mentre strumenti di indagine geofisica ci permettono di distinguere zone dell’appezzamento caratterizzate da diverse tipologie di terreno.
Uno studio multidisciplinare…
Al termine del quale si mettono insieme tutte queste informazioni, per determinare in modo preciso dove concimare e come. In maniera simile si può procedere per gestire l’irrigazione. L’obiettivo è quindi quello di gestire risorse scarse, come acqua e azoto, in modo efficiente. In questo modo si massimizza anche la produzione, minimizzando le ricadute sull’ambiente.
È un lavoro complicato ma fondamentale..
Sì, ogni giorno di più. Le fonti informative che dobbiamo considerare sono molteplici e sono da integrare in ottica agronomica, ossia è necessario considerare il sistema di coltivazione nel suo complesso, conoscere la storia dell’appezzamento, considerare il suo sistema irriguo, ma anche eventuali malattie che possono colpire le piante.
Come strutturate le vostre collaborazioni con le aziende?
In molti dei nostri progetti di ricerca le aziende partecipano come partner, collaborando quindi all’impostazione sperimentale, alla conduzione delle ricerche e alla divulgazione dei risultati. In questo ambito, quindi, anche i nostri studenti sono coinvolti: essi svolgono in diversi casi una parte del loro tirocinio presso aziende agricole commerciali o presso le aziende agricole didattiche dell’Università di Milano, collaborando fianco a fianco con il nostro personale di ricerca. Le attività che svolgono possono consistere in campionamenti, misure, rilievi in campo o in laboratorio, a seconda del tipo di progetto, dell’interesse e della predisposizione dello studente.
Un tipo di affiancamento che permette di vedere un progetto di ricerca in tutte le sue fasi.
Sì, dal lavoro in campo al laboratorio, fino all’elaborazione finale dei dati oggetto della ricerca. Gli studenti vedono come nasce il dato. Terminano il loro percorso di studi essendo in grado di spiegare ogni singolo numero di un grafico, la sua origine e tutti gli aspetti che caratterizzano la produzione del dato, come pure tutta la parte interpretativa di analisi e di utilizzo.
Un esempio concreto di progetto?
Un esempio di un progetto in corso è X-COVER.
Di cosa si tratta?
Le cover crop sono delle colture di copertura. Sono colture un po’ speciali che non si coltivano per ricavare cibo, fibre o combustibili, quindi per i classici utilizzi agricoli, ma solo per il beneficio che possono portare al terreno e all’ambiente.
Quindi sono colture a perdere?
Sì, nel senso che vengono coltivate e quando poi sono arrivate alla fine del loro periodo di crescita, vengono distrutte dall’uomo o dal gelo. Durante il loro ciclo vitale, la loro funzione è di mantenere e migliorare la fertilità del terreno, proteggere le falde dalla lisciviazione dei nitrati, migliorare la disponibilità di nutrienti e limitare la crescita delle erbe infestanti. Regione Lombardia ha finanziato il progetto e il DiSAA sta lavorando alla sua attuazione con un’associazione di produttori agricoli interessati a questo tipo di pratiche agrarie.
Lavorate anche su progetti europei?
Sì, ai docenti del DiSAA capita spesso di vincere bandi europei di ricerca e innovazione. Il programma quadro di riferimento da quest’anno è Horizon Europe. Un’altra importante fonte di finanziamento è attraverso le politiche di sviluppo rurale. In generale, abbiamo instaurato negli anni un dialogo piuttosto vivace con altre università europee, col mondo agricolo sul territorio, e con le regioni. Siamo una ‘Research University’. Qui da noi gli studenti trovano docenti impegnati in prima linea nell’insegnare ma anche nel produrre nuova conoscenza e investigare nuovi metodi di coltivazione e di indagine sugli agroecosistemi. E questo rende il nostro Dipartimento un ambiente fertile e stimolante.
Possiamo dire che in alcuni casi i docenti DiSAA forniscono servizi di advisory?
Sì, capita di offrire un parere tecnico. I risultati dei progetti di ricerca che conduciamo possono servire alle istituzioni europee e nazionali per impostare le loro politiche. In fondo, i programmi di ricerca applicata sono concepiti con lo scopo di colmare un fabbisogno di conoscenza o definire meglio aspetti di rilevanza pratica su un tema in concreto.
Per esempio?
Beh, lo stesso progetto X-COVER. Contribuisce a fornire conoscenze applicative relativamente a una pratica promossa nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale, che è l’agricoltura conservativa, nell’ambito della quale le cover crop hanno un ruolo importante. Con questo progetto abbiamo cercato di dare risposte applicative a una scelta europea che ha deciso di promuovere queste coltivazioni. E diciamo che la forza di questi studi è che sono, come si dice oggi, multiactor. Non c’è infatti solo un ente di ricerca coinvolto, ma nel partenariato vi sono anche un’associazione di produttori agricoli e quattro aziende.
Quindi tutti i diversi soggetti della filiera sono coinvolti e hanno voce in capitolo?
Sì, l’idea è proprio quella. Condividono i loro punti di vista e fabbisogni, e questo assicura risultati più spendibili perché definiti sulla base di una concertazione e dialogo preventivo.
Lei è presidente del Corso di Laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il Territorio ma qual è la sua materia di insegnamento?
Insegno Agronomia e Analisi e modellistica agronomico-ambientale.
Modellistica, di cosa si tratta?
Ah, è super divertente. La modellistica non è applicabile solo all’agricoltura ma è una disciplina che si può applicare anche ad altri settori. In ambito agronomico, la modellistica consente di riprodurre, simulandolo con un computer, un sistema di suolo-coltura-atmosfera per studiarne le numerose interazioni, rappresentandole con leggi matematiche.
Il modello al computer riproduce l’andamento del sistema nel tempo, tipicamente applicando giornalmente le equazioni, e fornisce una previsione. Possiamo quindi usare questi modelli per rispondere a diverse domande, come ‘Quale sarà lo scenario nel 2050 quando l’atmosfera sarà più ricca di CO2?’, oppure ‘Cosa capita se gestiamo diversamente la concimazione di un campo?’, ‘Cosa succede se estendiamo l’uso delle cover crop in altri suoli?’
Hanno ricadute economiche?
E ambientali. La modellistica consente di effettuare tutta una serie di esperimenti. Il modello ti dà quindi indicazioni e suggerimenti.
Si inizia andando in campo a fare le prove?
E poi analizzare in laboratorio la composizione dei campioni prelevati e comprendere i risultati e gli effetti delle pratiche di gestione agronomiche messe in campo nell’esperimento. Come ha risposto la coltura alla concimazione? Come ha risposto a un trattamento di lavorazione del suolo?
Non facile insomma…
Non lo è. Le discipline di base da “masticare” sono molte. La maggior parte si affrontano il primo anno che, da sempre, è il più difficile. Ma poi, fatto quello, la strada è più facile. Lo sanno bene i nostri studenti: dopo un anno di studio sulle materie di base inizia il bello!