A rischio un intero sistema ecologico ed economico. La densa macchia nera di petrolio che ha invaso il fiume Lambro dopo il sabotaggio alla raffineria ‘Lombarda Petroli”, avanza pericolosamente lungo il Po ed è in queste ore nel piacentino all’altezza di Isola Serafini. Tutto l’ecosistema fluviale è in pericolo ed ora si pensa anche al Delta del Po, una delle zone umide più importanti d’Italia e d’Europa per la migrazione e lo svernamento degli uccelli acquatici. Il Delta del Po in questo momento è estremamente vulnerabile anche a causa del livello delle acque del fiume che permette una connessione diretta con molti rami laterali e con le aree di maggiore interesse naturalistico.
Fauna e flora – In questa stagione, nelle zone umide deltizie vi sono migliaia di uccelli alla vigilia della cova e della stagione di riproduzione: anatre (germani reali, morette, moriglioni, mestoloni, alzavole…), aironi (aironi cenerini, aironi bianchi maggiori, garzette, aironi guardabuoi….), limicoli (avocette, pantane, piro piro…), inoltre quest’area è fondamentale per la presenza di molte specie di pesci che si riproducono, transitano o trovano qui rifugio come l’anguilla, la cheppia, la savetta, il muggine calamita, o, nelle zone umide tra i canneti, come il luccio e la tinca. Non vanno poi dimenticati anfibi e rettili come ad esempio la testuggine palustre.
Auspicio – “Il WWF si augura quindi che vengano adottate tutte le misure necessarie ed utili a scongiurare che l’ondata di petrolio arrivi al Delta del Po – dichiara Stefano Leoni, Presidente del WWF Italia – Se ciò non avvenisse gli effetti su golene, canneti di foce, lagune e tratti costieri, potrebbero essere devastanti. A pagarne un prezzo altissimo non sarebbe solo uno degli ecosistemi più ricchi del nostro Paese, ma anche le attività che sostengono economicamente questo territorio come la pesca e il turismo”.
Richiesta – Il WWF chiede, inoltre, che nel caso la macchia arrivi a Mantova e la superi si coinvolgano urgentemente anche i Parchi regionali del Delta del Po veneto ed emiliano, per precludere l’accesso alle golene e ai rami deltizi caratterizzati da una più elevata biodiversità, quali la “Golena Madonnina”, il Po di Maistra, il Po di Gnocca, il Po di Tolle e il Po di Goro, la “Busa di Tramontana” e la “Busa di Scirocco”. Lo stesso dicasi per i collegamenti a fiume delle sacche e delle lagune costiere del delta. In questo modo si potrebbero ridurre i danni e cercare di concentrare le azioni di recupero e successiva bonifica solo in alcuni punti, garantendo aree incontaminate che potrebbero essere utilizzate come rifugio per gli uccelli attualmente presenti nelle aree direttamente interessate dall’onda nera.
Infine sono pronti e disponibili da subito i Centri di recupero per la fauna selvatica WWF (con relativi volontari e istituzioni che vi collaborano) in particolare quelli situati nelle province di Rovigo e Ferrara, che hanno tutti i mezzi necessari per soccorrere uccelli acquatici investiti dagli idrocarburi.
Oltre l’emergenza – Affrontata con decisione e sperabilmente risolta al più presto questa emergenza – conclude Leoni – gli amministratori pubblici e tutti gli organi di controllo e prevenzione dovranno compiere un’impietosa analisi di quanto successo: della mancata prevenzione, di un sistema di controlli che, nonostante la delicatezza dell’area interessata, non ha funzionato a dovere; di un sistema di allerta e pronto intervento trovatosi non equipaggiato a dovere per affrontare una simile urgenza. Nel 2010, il WWF coltiva ancora la speranza che questa sia veramente l’ultimo caso di una simile emergenza ambientale. E speriamo di tornare immediatamente con i piedi per terra nella gestione e nel monitoraggio dei nostri territori, evitando di usare l’emergenza per riproporre soluzioni fantasiose per la gestione dei nostri corsi d’acqua. Bisogna, in definitiva, tornare ai “fondamentali”, immaginandoci, per un attimo, che in queste stesse condizioni (o anche peggiori) ed in simili o ancor più delicati ambienti si sta ancora sognando di riproporre l’insediamento dei nuovi impianti nucleari…”