ROMA – Misure troppo blande a Roma per contrastare il contagio di PSA (Peste suina africana) fra i cinghiali, rispetto a quelle ben più restrittive adottate in Piemonte e Liguria, dove si combatte da gennaio col virus. Cia-Agricoltori Italiani si chiede se i cittadini di queste Regioni siano di serie B e lancia l’allarme. “Dopo l’ordinanza regionale, nell’area delimitata dell’Insugherata -dichiara il presidente Cia, Dino Scanavino- sono ancora possibili tutte quelle attività sportive e ludico ricreative che concorrono alla diffusione del virus, di cui l’uomo -che ne è immune- è vettore, tramite calzature, vestiario, automezzi e attrezzature.
Tutte attività che nella zona rossa al Nord sono state subito interdette. Speriamo che il prossimo arrivo degli ispettori Ue a Roma abbia un influsso determinante sui nostri decisori politici, da parte nostra sollecitiamo, ancora una volta, politiche di contenimento, con una campagna di riduzione del numero dei capi”. In assenza di un adeguamento nella Capitale della normativa ministeriale vigente, Cia teme, infatti, una rapida diffusione della PSA che potrebbe rapidamente dilagare in altri parchi laziali e poi arrivare in Maremma, contagiando tutta la popolazione suina. Grave la ricaduta economica stimata: circa 200mln, valore della produzione del settore nelle due Regioni (Lazio e Toscana), cui si potrebbe aggiungere anche l’Umbria. Senza contare il rischio dell’adozione di misure restrittive dell’import di carni suine da parte dei Paesi Terzi, con danni economici pesantissimi alla filiera (1,6mld il valore dell’export), pregiudicando la qualità del marchio Made in Italy nel mondo.
Senza un contenimento efficace a Roma, la diffusione a macchia d’olio della PSA rischia di pregiudicare tutto l’indotto della suinicoltura laziale (43mila capi), nonché quella limitrofa maremmana, per poi dilagare in tutta la Toscana, ancora più rilevante nel comparto. La Regione conta, infatti, 124.256 capi a rischio contagio dal virus, che dal cinghiale selvatico si trasmette rapidamente alla popolazione suina (letalità maggiore del 90%), mettendo a repentaglio la produzione italiana di insaccati e rinomati prodotti Dop, come la Cinta senese. La diffusione in Toscana comporterebbe, inoltre, la macellazione d’emergenza in via cautelativa di tutti quei suini allevati allo stato semi-brado, più a rischio di contrarre l’infezione (circa 25mila).
Per Cia, questo sarebbe un grave danno anche alla biodiversità, con la distruzione di razze autoctone italiane che costituiscono un patrimonio unico sotto il profilo sociale, biologico, culturale ed economico. La diffusione a macchia d’olio della PSA nel Centro Italia metterebbe in pericolo, peraltro, anche la limitrofa filiera suinicola dell’Emilia Romagna, che conta circa 1.200 allevamenti, 1,2 milioni di capi e produzioni pregiate come le Dop di Parma, nonché, di conseguenza, tutta l’industria legata alla trasformazione, ma anche le attività turistiche, ricettive e di ristorazione delle aree interessate dal fenomeno.
Per quanto concerne il temuto blocco dei mercati esteri di prosciutti e carni suine, Cia ricorda che nel caso della diffusione della PSA in Germania, nonostante le restrizioni disposte dalle autorità tedesche, la Cina dispose il blocco all’import di qualsiasi prodotto suinicolo proveniente da Berlino. Malgrado sussista, infatti, un principio di regionalizzazione (non tutto il Paese subisce il blocco movimentazione merci, nel caso di infezione territoriale), molti Paesi non lo accettano e tendono a evitare le transazioni commerciale finché la situazione epidemiologica non sia chiarita e le misure di contrasto alla diffusione del virus non siano attuate.